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Rassegna stampa



La storia di Ventina Merlino (30 dicembre 2017)

La storia non si legge solo sui libri, prima, a volte, è un lungo cammino di studio e di ricerca e proprio quest’ultima si rivela come la parte più interessante. Sia il trovare un documento inedito o non preso in esame da storici precedenti che l’intervistare alcuni personaggi può essere foriero di innumerevoli briciole di memoria che devono essere ascoltate e raccolte.
Proprio con questo intendimento Silvana Benedicti e Barbara Florio, dell’associazione Ceva nella Storia, sono andate a colloquiare con la signora Ventina Merlino.

Una donna come tante, verrebbe subito da pensare, ma in realtà una donna forte che ha vissuto gli anni della guerra, la vita di montagna, il migrare in “città”. È la storia di un personaggio unico, anche se il suo vissuto è paragonabile a quello di molti in tempo di guerra, un’esistenza intrisa di sacrifici, un notevole insieme di episodi dove è stata protagonista la dignità di lavorare, dove non si chiedeva, ma si dava.
Una bella storia di riscatto ed affermazione sociale.

Ventina è una splendida novantenne che ha vissuto anni intensi, segnati da cambiamenti profondi per la nostra società.

Leva 1927, nata a Quarzina Soprana, una delle numerose frazioni di Ormea con un’ampia vista sui monti e sul mare, quando ancora quel paesello di montagna contava oltre duecento abitanti. Ora ne rimangono cinque o sei.

Fino ad 11 anni vive con spensieratezza, ma a seguito della morte della mamma la sua vita si trasforma. Suo malgrado deve diventare adulta ed aiutare il padre nella sua attività, che consiste nella gestione di un’osteria con annesso un negozietto di generi vari a Quarzina. Deve inoltre, con l’aiuto della nonna paterna, accudire i due fratellini più piccoli e tenere in ordine la casa.
Termina così per lei il tempo della fanciullezza ed affronta le sue dure giornate con caparbietà anche se a volte circostanze intrinseche rendono più difficoltoso il lavoro, come ad esempio quando le tocca lavare i panni alla fontana del paese e mettere, in quanto piccina, una pietra sotto i piedi per poter arrivare al getto dell’acqua.

Era tempo di guerra e in paese sostavano sovente fascisti, tedeschi e partigiani. Spesso si doveva soccombere alle loro angherie.
Ci racconta Ventina: “Ci hanno sempre portato via tutto. Ci rifugiavamo nelle stalle. Ricordo ancora i rastrellamenti dei tedeschi alle 5 del mattino, sparavano, vetri rotti. Nell’osteria era obbligatorio tenere esposto il quadro del Re, per questo i partigiani se la sono presa con mio padre. Abbiamo passato dei momenti terribili, sempre a piangere, sempre nella paura. Erano tempi difficili.”

Quando Ventina ha 19 anni purtroppo muore anche la nonna e lei si trova sola a mandar avanti la casa e il negozio. Il padre a motivo della sua attività era frequentemente in giro a fare acquisti di derrate che poi lei vendeva nella bottega. I suoi spostamenti andavano da Quarzina verso Chionea, Ormea e Nava, per comprare il burro o altri generi alimentari che portava da un posto all’altro. Veniva anche a Ceva per acquistare salumi e nel negozio della signora Benedicti, che serviva molti abitanti dell’Alta Val Tanaro.

Viene poi il giorno del matrimonio, Ventina sposa Renzo Merlino di Quarzina Sottana e lascia la casa paterna per andare a vivere coi parenti del marito. Hanno due figli e quando la bimba, Maria Antonietta, compie due anni lasciano Quarzina e si trasferiscono a Castelnuovo di Ceva. Il marito inizialmente faceva il contadino, poi trovò occupazione nell’acquedotto delle Langhe.
Sulle spalle di Ventina pesano i lavori agricoli, ma anche il doversi occupare degli altri componenti della famiglia del marito. Dopo un po’ si spostano tutti in Bovina di Paroldo nella tenuta del generale Promis come mezzadri, sono con loro anche i cognati.

La vita di campagna era molto dura ed i figli avevano cominciato ad andare a scuola, per cui nel 1961, con forza d’animo e risolutezza decidono di separarsi dai parenti e si trasferiscono a Ceva, andando ad abitare in contrada Valgelata. Però l’attaccamento alla famiglia era molto forte e ogni fine settimana ritornavano tutti in Bovina ad aiutare i parenti nei lavori dei campi. Viaggiavano su una lambretta in quattro, col vento e il freddo che intirizzivano i loro corpi.
La figlia ci racconta di come sua nonna le riempiva le tasche di caldarroste appena uscite dal forno della stufa, che le riscaldavano le mani durante il viaggio. Questo fino a quando tutto il nucleo decide di spostarsi nella zona del Campanone di Ceva, nella cascina di don Filippi.

Fino al 1967 fu impegnata lì lasciando la figlia, di appena 16 anni, a far compagnia agli zii. Poi lavorò per la fabbrica di ceramiche Ilsa, le portavano le piastrelle a casa, ma non si guadagnava un granché, così decise di fare la “tata” in una famiglia cebana al Borgo Sottano.
Intanto erano andati ad abitare d’affitto in una casetta in piazza Galliano, di proprietà della signora Faramia. Quest’ultima, abbastanza anziana, era innamorata del suo giardino e decise di vendere la sua casa solo a chi se ne sarebbe occupato con amore.
Ventina con l’aiuto dei figli riuscì a comprarla e accudisce quello spazio di verde con la massima cura e abilità da ben 22 anni. Neanche i danni arrecati dalle due alluvioni (1994 e 2016) l’hanno fatta desistere.

Con il suo carattere forte ha sempre seguito il volere della sua famiglia servendo tutti con devozione, ma quando prendeva una decisione, tutti la ascoltavano.
“In tutti i posti dove siamo andati, abbiamo sempre trovato brava gente” ci racconta Ventina.

Il marito, Renzo Merlino, è morto nel 2010. Aveva fatto il C.A.R. negli alpini a Ceva e fu anche prigioniero in Germania, da dove tornò nel giugno del 1945.
Ci lascia, raccontandoci un ultimo aneddoto: “Quando sono arrivata a Ceva, la città era uno splendore, si andava sotto i portici che erano affollati, negozi ed osterie erano sempre pieni di gente e durante il giorno di mercato era il punto di incontro per molti valligiani. Ora vado sotto i portici e provo un po' di tristezza per quei tempi andati”.




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