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Le vicende dell’esondazione di cui si ha la testimonianza più lontana nel tempo sono raccontate dall’arciprete Giovanni Olivero nelle sue Memorie Storiche della Città e Marchesato di Ceva edite nel 1858. Egli ne trasse le informazioni dalle disposizioni testamentarie della nobildonna Sofia Ceva, detta La Catalana, figlia del marchese Giorgio I. Costei in una parte del suo atto, rogato dal notaio Oberto Decarlino di Ceva il 22 ottobre 1331, fornì una dettagliata descrizione dell’evento.
Di seguito si trascrive il testo, tradotto dal latino, così come lo riporta il parroco cebano: «Poiché per causa della malvagità, e dei peccati di pochi vien colpito da avversità tutto un popolo, e che fra le sventure più memorande debbasi annoverare la grande inondazione d’acque non mai sentita a memoria d’uomo avvenuta li sette di questo mese; dalla parte sinistra della Chiesa di S. Maria delle grazie, di buon mattino all’improvviso, e a ciel sereno. Furioso il Tanaro ha rovinato l’oratorio e la massima parte del convento dei frati minori (di S. Francesco) l’edifizio di Tornelli con sei case nella parte inferiore del borgo di S. Andrea, strascinando nella sua corrente uomini ed armenti. Inoltre perché attesa la rovina ed esportazione di quattro dei dodici archi del ponte detto del Broglio, pel nuovo ed ampliato alveo del fiume, sia stato affatto intersecato, ed intercluso il passaggio e l’accesso al Borgo superiore. Perciò io commiserando quest’infortunio, lego e dono la somma di mille quattrocento fiorini d’oro, in tant’oro (summam florenorum 1400 auri in auro) per la costruzione di un altro ponte che dia ingresso al borgo inferiore per mezzo di una porta da aprirsi nel muro di cinta tra il Castello e la mezza torre detta dei Guelfi, e quanto sopravvanzerà, si distribuirà pro rata ai poveri del borgo di S. Andrea danneggiati nell’inondazione.»
Il ponte, ricostruito di recente ed intitolato al Battaglione Ceva, è ancor oggi conosciuto e chiamato Ponte della Catalana.
Il testamento di Sofia Ceva, al tempo dell’Olivero, venne rinvenuto nell’Archivio Vescovile della diocesi di Albenga alla cui cattedra era insediato, all’epoca della sua stesura, un cugino della testatrice Federico Ceva, al quale la medesima legò buona parte delle sue sostanze. Recenti ricerche colà condotte non lo hanno però più reperito.