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Associazione Ceva nella Storia - Alluvione del 2020 (2 - 3 ottobre)

Alluvione del 2020 (2 - 3 ottobre)     Torna all'indice


Le giornate del 2 e 3 ottobre 2020 sono da annoverare nella storia della climatologia piemontese in quanto la regione fu colpita da uno degli eventi pluviometrici più intensi mai registrati, con particolare insistenza delle precipitazioni nell’Alta Val Tanaro, nel biellese, nel vercellese e nel verbano. Le cause furono attribuite al distacco di una circolazione depressionaria chiusa da una sacca atlantica, posizionata sulle isole britanniche, che muovendosi gradualmente verso il nord della Francia convogliò masse di aria calda e umida sulla costa meridionale francese, sulla Liguria e sul Piemonte, con forti venti nei bassi strati. L’interazione del flusso umido con i rilievi montuosi generò un minimo di pressione sul cuneese, che contribuì ad alimentare ulteriormente la convergenza dei venti e l’impeto della pioggia sulla fascia tra la Val Roya e l’alto Tanaro. Lo zero termico, per effetto del predominio delle correnti caldo-umide, si mantenne a quote molto elevate (3.300-3.600 m s.l.m.) favorendo la componente liquida delle precipitazioni e limitando la neve a tali altitudini. La fase di maltempo ebbe nella giornata del 2 ottobre i fenomeni più veementi. Specialmente nell’alto Tanaro gli incrementi furono particolarmente repentini, con gli idrometri collocati lungo tutta l’asta del fiume che rilevarono dei livelli superiori a quelli storici del 2016. Anche il reticolo secondario, in particolare il torrente Corsaglia, evidenziò dei valori eccezionali.
Per la terza volta quindi, in poco più di un quarto di secolo, la Val Tanaro venne devastata. A Ormea il fiume esondò in più punti inondando anche la statale 28, con frane a valle e a monte del paese, isolandolo completamente, come pure furono rese irraggiungibili tutte le frazioni. Nel comune di Garessio forse si registrò la situazione peggiore, con le vie del centro invase dalla piena con enormi danni a negozi e garages. Il cimitero della frazione Trappa fu devastato e la corrente trascinò a valle decine di bare. Isolata per frane la frazione Casario di Priola, crollato in parte il cosiddetto “ponte romano” di Bagnasco e danneggiamenti agli impianti del parco del Gurei di Nucetto.
Ceva quando si risvegliò dopo la piena della notte non poté far altro che constatare il nuovo disastro, conseguenza degli allagamenti che andavano dalla piana dei Nosalini presso i campi sportivi, al Brolio e fin oltre la zona dei Cameroni. Nelle cantine e negli ambienti a piano terra di queste località dove passò l’acqua rimase molto fango. Fu colpito duramente il Centro di Formazione Professionale, sia nella sede di via Regina Margherita che presso i locali dell’ex Ilsa dove ci sono le nuove officine. Nella stessa struttura subirono gli effetti della tracimazione del fiume anche la bocciofila, il settore in cui è collocata la mensa scolastica e la sede dei Vigili del Fuoco. L’evento calamitoso pregiudicò non poco anche l’attività dell’Istituto Baruffi, della Scuola dell’infanzia, della caserma Galliano, dell’Oratorio parrocchiale con gli annessi impianti sportivi, nonché l’agibilità di alcuni spazi importanti come la Piazza d’Armi, il Lungotanaro Carlotto, il parco della Rotonda. I primi provvedimenti adottati dal sindaco Vincenzo Bezzone furono quelli di stabilire la chiusura di tutte le scuole e di dichiarare la non potabilità dell’acqua, intanto che ci si attivava per la determinazione della quantità dei danni e per lo studio delle azioni da portare avanti nell’immediato. Come in occasione delle due infauste simili circostanze del recente passato, pure in questa la partecipazione di chi volle da subito dare una mano fu numerosa e determinante, non solo da parte dei volontari di tutte quelle associazioni deputate ai soccorsi in caso di calamità (Vigili del fuoco, Protezione civile, A.I.B., A.N.A., ecc.), ma anche di cittadine e cittadini comuni giunti da ogni dove. Fu confortante inoltre notare che uno dei primi che giunse per personalmente rendersi conto dello stato dei luoghi fu il vescovo diocesano Egidio Miragoli. Anche questa volta comunque si dovette prendere atto che gi interventi sull’alveo, sugli argini e sui ponti realizzati negli anni precedenti si dimostrarono essenziali per contenere le dimensioni della sciagura.