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Cappella di san Giuseppe (nel Forte)
Piccola cappella di cui non rimane la benché minima traccia, se non qualche reperto cartaceo. Era annessa all’infermeria della Fortezza, allestita nella parte più alta di questa poco tempo prima che venisse distrutta dalle mine, come imposto da Napoleone dopo la battaglia di Marengo del 1800.
Cappella dei santi Solutore, Avventore ed Ottavio
Faceva parte del complesso di una cascina in località Braia (in passato Braida), zona pianeggiante sita alla destra del Tanaro poco prima che il fiume, lasciato il territorio cebano, si inoltri in quello di Castellino. Della cappella, trasformata nel tempo in abitazione colonica, non rimangono che alcune modestissime tracce in un fatiscente fabbricato abbandonato da vari decenni. La relazione dell’arciprete Onorato Mari del marzo 1728 la indicava come proprietà del marchese Pallavicino, in buono stato e provvista di suppellettili.
Un’annotazione particolare relativamente ad essa è la sua dedicazione ai tre santi che furono martirizzati nel III secolo nei pressi di Torino, di cui diventarono i primi patroni. Essi appartenevano alla leggendaria legione tebea composta esclusivamente da cristiani egiziani, che prestava servizio ai confini orientali dell’impero romano. Questa fu interamente sterminata, per ordine dell’imperatore Massimiano, quando i suoi componenti si rifiutarono di trucidare le popolazioni dei territori conquistati che si erano convertite al cristianesimo. Questa intitolazione è una circostanza più unica che rara dalle nostre parti e di essa non è nota la ragione. Recenti ricerche hanno però portato a formulare un’ipotesi a cui si può dare abbastanza credito. I venerati resti dei tre protomartiri dopo essere stati ospitati per oltre una dozzina di secoli in varie basiliche, monasteri e santuari di Torino, trovarono definitiva sistemazione, nel 1584, nella Chiesa dei Santi Martiri, voluta da Emanuele Filiberto e fatta erigere dai Gesuiti, che stabilirono la sede del loro ordine nel capoluogo piemontese. Al rettore pro tempore della Compagnia di Gesù era stata affidata la custodia delle preziose reliquie, fin dal 1567. A ricoprire questa carica, dal 1714 al 1717, fu chiamato Giambattista Pallavicino dei marchesi di Ceva e forse fu proprio in funzione di ciò che venne dato il titolo a quella che fu una cappella campestre della famiglia marchionale, verosimilmente costruita in quel tempo.
Cappella di San Pietro
Questa chiesetta si trovava sulla Piana, all’incrocio tra la vecchia strada di Mondovì e la via campestre che portava alle cascine Osparato, a pochissima distanza dal sito dov’è oggi la cappella di San Pietro in Vincoli. Nel dipinto secentesco conservato in Municipio è rappresentata con il frontale aperto ad arco. Lo storico Aldo Martini dava già eretto nella zona, addirittura fin dall’alto Medioevo, un edificio di culto dedicato al capo degli Apostoli con funzioni di parrocchia, quando sull’altura del Castello non si erano ancora insediati gli Aleramidi e quindi non ancora edificata Santa Maria di Castro. Le prebende della parrocchia di san Pietro, alla sua soppressione intorno al XIV secolo, pare avessero consentito la formazione dell’omonimo canonicato, uno dei primi ad essere istituiti nell’ambito della Collegiata di Ceva. Tornando invece alla cappella riprodotta sul dipinto del Seicento si evidenzia da una relazione del vescovo di Alba che era già in condizioni di parziale rovina nel 1728, tanto da essere interdette le sacre funzioni in essa. Venne poi ripristinata a cura del canonico Lodovico Testanera nel 1774. Nel 1796 subì gravi danni durante l’invasione francese e finì per essere abbandonata ed andò completamente distrutta verso la metà dell’Ottocento, quando per effetto della definitiva abolizione del capitolo della Collegiata, a seguito della legge Rattazzi, non poté più disporre dell’opera di un canonico che potesse aver cura della sua conservazione.
Cappella di San Rocco
Si trovava sulla piana detta della Gramaglia, vicino alla strada che porta alla borgata dei Mazzarelli, nel sito dove oggi è collocato un pilone votivo intitolato allo stesso santo, costruito di recente al posto di altro simile andato rovinato. Compare chiaramente indicata sul dipinto del XVII secolo conservato in municipio, ma a metà Ottocento era solo più un ammasso di ruderi. Se ne faceva menzione nella relazione della visita pastorale del 1728 di Fra Carlo Francesco Vasco, vescovo di Alba ed in quella del successore monsignor Enrichetto Virginio Natta, del 1757, nella quale era individuato come priore don Gerolamo Chiavelli.
Cappella dei Santi Michele e Giuseppe
San Michele e San Giuseppe era il titolo attribuito ad una chiesetta che si trovava a lato della vecchia strada verso i Poggi Santo Spirito, pressappoco nell’area dove è ora la cappella di San Giuseppe, ripristinata di recente. Indicazioni molto vaghe, non supportate da alcun riscontro documentale, ma tramandate oralmente, hanno indotto in passato alcuni storici ad ipotizzare nel luogo l’esistenza di una chiesa di san Michele eretta in parrocchia, ai tempi in cui quel territorio faceva parte della marca arduinica e poteva essere sufficientemente popolato tanto da giustificarne l’istituzione. Le prebende della stessa, dopo la sua soppressione, avrebbero dato origine all’omonimo canonicato nell’ambito della Collegiata di Ceva.
Cappella di Santa Margherita (cappella campestre)
Altra presunta unità parrocchiale fu quella di Santa Margherita, nei primi secoli del basso medioevo non molto distante dalla Cappella dei Santi Michele e Giuseppe. Alla sua abolizione anch’essa avrebbe dato luogo, con le sue rendite, alla creazione del canonicato recante lo stesso nome in seno alla Collegiata. Si tratta comunque anche in questo caso di cognizioni piuttosto evanescenti che, prive di sufficiente attendibilità, portano a nutrire alcuni dubbi circa la sua funzione di chiesa parrocchiale, come per quelle di san Michele e di san Pietro sulla Piana. Certo è invece che quasi ai confini con il territorio della parrocchia dei Poggi Santo Spirito era presente una cappella campestre dedicata alla santa martire di Antiochia, citata in alcune delle relazioni relative alle visite episcopali del Seicento-Settecento e nella relazione dell’arciprete Onorati Mari del 1728. L’edificio, già in rovina alla fine dell’Ottocento, è stato abbattuto da parecchio tempo per far posto a nuove abitazioni.
Cappella di San Carlo
L’arciprete Mari, nella sua relazione, la indicava come cappella campestre di proprietà della famiglia del conte Gio Batta De Rossi. Si trovava ai Ferrazzi, nella zona chiamata Mastrik, nelle adiacenze di una vetusta costruzione, ancor oggi esistente benché più volte rimaneggiata, la cui strutturazione, unitamente alla trasmissione orale di alcune memorie da accettare con la solita prudenziale riserva, rimanderebbe ad un antico insediamento monastico. Viene pure citata in un documento che porta la data del 28 gennaio 1730 nel quale lo stesso conte De Rossi propone al vicario foraneo di Ceva, canonico Aleandro Maria Gandolfo, la permuta di terreni suoi con altri risultanti già in dote a questa cappella.