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Associazione Ceva nella Storia - 1796 «Prima Campagna Napoleonica d'Italia» Napoleone Bonaparte a Ceva (1ª parte)

1796 «Prima Campagna Napoleonica d'Italia» Napoleone Bonaparte a Ceva (1ª parte)     Torna all'indice


Si propongono alcuni passi del libro scritto dal generale dott. Luigi Manfredi e Achille Barberis, NAPOLEONE La prima campagna d’Italia da Nizza a Cherasco, Vinse Bonaparte o persero i comandanti austriaci e piemontesi?
«L’intera epopea napoleonica prende avvio a Montenotte ed è innegabile il fascino che l’inizio della prima campagna d’Italia esercita sugli storici militari, i quali la considerano un capolavoro di strategia e tattica militare studiato ancora oggi nelle Accademie militari. Fu, infatti, magistrale la capacità di Bonaparte, a soli 27 anni, di battere eserciti valutati tra i migliori dell’epoca con un’armata di straccioni male armati e peggio nutriti.
Nelle pubblicazioni relative a questo periodo le valutazioni sono ormai standardizzate nell’elogio indiscusso del genio napoleonico. Poca attenzione è dedicata agli avversari, sia piemontesi sia austriaci.
E’ stato solo tutto merito di Bonaparte oppure ci sono stati gravi errori degli avversari? Fu, quindi, vivo il desiderio di approfondire, nelle ricerche bibliografiche preparatorie alla stesura del racconto, le cause della disfatta dell’esercito piemontese. Si è voluto indagare criticamente e senza pregiudizi quei fatti e il dubbio è anche evidente nel sottotitolo del libro.
In questo contesto un ruolo importante ha rappresentato la città di Ceva, fin da allora centro nevralgico delle comunicazioni e del commercio tra il Piemonte e la Liguria. Appare, quindi, più che giustificata la curiosità di capire meglio che cosa abbia rappresentato per questi luoghi il passaggio di Napoleone. Avvertiamo ancora adesso il retaggio e le conseguenze di quella bufera che coinvolse l’esercito piemontese ma soprattutto i vari paesi e le comunità delle vallate dei fiumi Bormida e del fiume Tanaro, la nostra terra.
La città di Ceva ebbe un ruolo importante anche nella strategia di Bonaparte, che mosse i reparti in attacco sia da sud, attraverso il colle di Montezemolo, sia da ovest, lungo la valle del Tanaro. La manovra ebbe successo e rappresentò l’inizio della disfatta dell’Esercito piemontese che si concluse a Cherasco.
Il libro ha lo scopo, in particolare, di offrire ai lettori affascinati dall’epopea napoleonica un approfondimento storico militare sulla fase iniziale della prima campagna d’Italia e una motivazione affettiva locale: raccogliere, in altre parole, una testimonianza di ciò che è stata una grande guerra combattuta nei paesi che sono al confine tra le Alpi, gli Appennini e le Langhe.»
Luigi Manfredi

L’OCCUPAZIONE DI CEVA ED I COMBATTIMENTI DELLA PEDAGGERA

16 - 17 aprile 1796 (27 - 28 germinale anno IV)

La brigata Rusca occupa San Giovanni di Murialdo

Il 14 aprile, lo stesso giorno in cui i reparti di Massena conquistavano la posizione di Dego per la prima volta, sulla sinistra dell’armata la 27ª brigata al comando del generale Rusca ingaggiava a San Giovanni di Murialdo un combattimento che, anche se isolato ed in qualche modo episodico, doveva dare l’impressione di un attacco anche su quella direttrice per impegnarvi forze piemontesi ed agevolare così l’attacco principale francese su Montezemolo e Ceva. La brigata Rusca, destinata al presidio delle alture tra il Tanaro e la Bormida occidentale, il 12 aprile era avanzata su Calizzano e nella notte tra il 13 ed il 14 ricevette nuovi ordini per cui partì il mattino del 14, discese la valle della Bormida passando per Caragnetta e si diresse verso il colle dei Giovetti. Marciava con circa 2.000 uomini. Sul fianco destro muovevano alcune pattuglie del battaglione della 25ª semibrigata che era rimasto all’Osteria del Melogno. In testa ai reparti muoveva il generale Meynier, inviato appositamente da Bonaparte per prendere contatto con Sérurier.
Seguendo la cima dei monti che accompagnano il corso della Bormida e i tortuosi sentieri nei boschi che li ricoprono, la brigata Rusca raggiunse ed attaccò intorno alle sei del mattino la ridotta di Maramasso dove perse due uomini e fece sessanta prigionieri. Trovò maggior resistenza a Bric Ajassa e alla Croce di Tia, a levante di questo bricco, sulla cresta del monte verso San Giovanni.
Rusca fece portare a dorso di mulo due cannoni da montagna e li fece mettere in posizione su una piccola altura da cui poteva sparare sulla ridotta che si trovava al bric della Croce. La tradizione vuole che partisse con i suoi uomini suonando egli stesso la carica e che ben presto avesse ragione dei difensori.
Poi la colonna sboccò sulla grande ridotta situata alla Croce di San Giovanni da cui si vede il villaggio di Murialdo, situato su un’altura tondeggiante lungo la Bormida e sovrastato dal bric delle Bovelle, dove si trova il colle di San Giovanni e la cappella che porta lo stesso nome.
La ridotta era armata con due cannoni ed era difesa da 514 uomini del reggimento di Acqui e da 300 uomini del corpo franco, comandati dal maggior generale Vitale. In testa alla 27ª brigata leggera marciava il comandante Dessaix; la brigata era costituita da uomini dell’antica legione degli Allobrogi, formata in Savoia nel 1792 durante il primo momento del fervore patriottico causato dalla congiunzione del paese con la Francia ed il suo comandante, soprannominato il Baiardo della Savoia, era solito marciare con la sciabola in pugno cantando il canto della partenza. Quando i tamburi cominciarono a rullare ed i pifferi a suonare la carica, la truppa con la baionetta inastata e a passo di corsa entrò nella ridotta e ne cacciò i difensori. Dessaix fu ferito alla testa e il comandante di battaglione Dupas, un gigante di quasi due metri, alla testa del 3° battaglione della stessa brigata e con l’appoggio di due cannoni sulla sinistra, si lanciò allora attraverso le forre per tagliare la via di ritirata ai difensori della ridotta che si stavano dirigendo su Castelnuovo. La manovra riuscì e circa 300 soldati piemontesi furono fatti prigionieri. Dessaix benché ferito dovette intervenire a proteggere, sciabola in mano, gli ufficiali piemontesi dalla furia dei soldati francesi che volevano fucilarli.
Alcune pattuglie furono mandate fino ad Acquafredda per prendere contatto sia con gli avamposti di Augerau, che si trovavano a Millesimo, sia con il quartier generale a Carcare. I piemontesi del generale Vitale si ritirarono a Castelnuovo, a Nucetto sulla riva destra del Tanaro, e nella ridotta di Monte Rotondo in vicinanza della borgata Penne di Malpotremo.
Bonaparte non si aspettava il successo immediato della manovra; gli interessava far credere al generale Colli che avesse di fronte un nemico molto numeroso. Rusca ricorse in particolare al trucco di far accendere sulle alture tra bric Orsuva e San Giovanni di Murialdo numerosi grandi fuochi per simulare la presenza di numerosi accampamenti.

La divisione Sérurier muove verso Ceva
La conquista dei due capisaldi da parte della brigata Rusca convinse Bonaparte che fosse giunto il momento di attaccare Montezemolo da Millesimo in contemporaneità con l’avanzata lungo il Tanaro verso Ceva. Battuto d’Argentau a Dego, era arrivato infatti il momento di Sérurier di lanciare la sua divisione su Ceva in contemporanea con la conquista di Montezemolo, ciò che sarebbe dovuto accadere il 13 aprile.
Nell’alta valle del Tanaro la divisione Sérurier aveva abbandonato gli accantonamenti nei dintorni di Garessio e Ormea e discendeva la valle per impegnare il fianco destro dello schieramento piemontese in corrispondenza di Ceva e addirittura oltre.
Oltre al movimento su Ceva coordinato con l’attacco a Montezemolo, annunciato per quello stesso giorno, a Sérurier si ordinava di occupare le alture di Battifollo per tagliare le comunicazioni del nemico con la valle del Tanaro e di raggiungere il ponte di Nucetto per appoggiare gli uomini di Augereau. A Bagnasco dovevano affluire pane, acquavite e cartucce.
Gli approvvigionamenti potevano esser trasportati solamente con i muli che si sarebbe procurato con ogni mezzo, anche con la forza, nel territorio della Repubblica genovese.
La resistenza di Provera a Cosseria e la presenza di Colli davanti a Montezemolo frenarono l’avanzata di Bonaparte che non poté avere la rapidità prevista. Il 14 aprile la divisione si mise in marcia lasciando circa 2.000 uomini tra Garessio e Ormea agli ordini dei generali Pelletier e Miollis per tener libera la linea logistica e di comunicazione con Oneglia attraverso il colle di Nava in territorio genovese. La divisione era composta dalle brigate Guieux e Fiorella che raggiunsero rispettivamente Pamparato e Serra sulla sinistra del Tanaro e il ponte di Nucetto sul fondo valle.
A causa della resistenza incontrata, Sérurier non poté scendere oltre e poté impiantare il suo quartier generale a Bagnasco solamente alle sei della sera del 14. Fu così costretto a rimandare al giorno seguente l’attacco alla ridotta di Terrabianca nel territorio di Perlo che si trovava sulla riva destra del Tanaro sopra Nucetto e a sud di Malpotremo, a protezione avanzata del forte di Ceva.
Al centro, la divisione Augereau aveva appena iniziato il suo movimento su Montezemolo con le brigate Joubert e Beyrand. L’inattesa resistenza di Cosseria e i combattimenti che si protraevano a Dego rallentavano le colonne di Augereau. Tuttavia Bonaparte non si perdette di coraggio e pensò di poter occupare Montezemolo il 15 anche se con un ritardo di due giorni. Il 14 preavvertì infatti Joubert con una lettera in cui diceva: … capisco che mi rimproveriate di non avervi chiamato, ma voi eravate troppo sulla sinistra,domani voi sarete di avanguardia…

Colli abbandona Montezemolo e si ritira a Ceva
Il vittorioso attacco a sorpresa delle truppe di Wukassovitch del 15 aprile a Dego fece rimandare al Bonaparte ancora di un giorno l’esecuzione del piano di attacco contro le forze piemontesi e l’attacco alle posizioni di Montezemolo.
L’intuizione di Bonaparte si rivelò ancora una volta geniale. L’attacco di Sérurier lungo la valle del Tanaro anche se poco più che dimostrativo e il brillante colpo di mano di Rusca a Murialdo furono sufficienti per impensierire il generale Colli. Dei 20.000 uomini che aveva all’inizio delle ostilità rimanevano solamente circa 15.000, dispersi su un fronte troppo lungo che raggiungeva il colle di Tenda e non aveva più il tempo o il coraggio di riunirli in difesa della valle del Tanaro dove si stava profilando la gravitazione dell’offensiva di Bonaparte.
Aveva a disposizione in questo settore sei battaglioni granatieri: il 3°, comandato dal marchese del Carretto, era stato annientato a Cosseria, due avevano dovuto abbandonare le ridotte di San Giovanni di Murialdo e gli altri tre, agli ordini del colonnello Bellegarde, non poterono raggiungere Cosseria per portare aiuto al generale Provera in quanto furono per tutto il giorno tenuti in scacco dai reparti di Augereau.
Il generale Colli, incalzato dagli uomini di Augereau e di Rusca e minacciato sulla destra da Sérurier, era anche preoccupato per quanto poteva accadere alla sua sinistra dove sapeva che tra Rocchetta di Cengio e Carretto le forze delle brigate Ménard e Dommartin si stavano riunendo. Non sentendo più tuonare il cannone a Dego e senza collegamenti con gli austriaci, ebbe sicuramente la percezione che d’Argenteau fosse stato battuto e respinto verso Acqui.
Colli fu spaventato dalle colonne francesi che avanzavano da tutte le parti e di cui non conosceva la forza esatta, ingannato anche dal numero dei fuochi che Rusca aveva acceso nelle notti precedenti. Il battaglione del generale Vitale era stato respinto da San Giovanni di Murialdo a Nucetto e ciò gli fece temere di essere ormai aggirato.
Giudicò prudente non resistere sul colle di Montezemolo anche se, secondo una precisa descrizione che ci è stata lasciata da Costa di Beauregard, la posizione che le forze piemontesi occupavano al colle di Montezemolo era per natura molto forte e munita di qualche opera. Vi era altresì una batteria di cannoni alla Crocetta della Rocca, che era protetta nella sua parte meridionale da un trinceramento per la fanteria.
Nella notte tra il 14 ed il 15 aprile i piemontesi ripiegarono attorno al forte di Ceva ed una parte oltre il torrente Corsaglia. Fece compiere questa ritirata con molta rapidità per timore che le truppe di Sérurier potessero accerchiare una parte della retroguardia. Colli ebbe, senza dubbio, troppa fretta di ritirarsi e non approfittò del disordine che si era venuto a creare tra i francesi a causa dell’improvviso attacco delle truppe austriache di Wukassovich. Il campo trincerato di Ceva avrebbe offerto la possibilità di un’ottima difesa in attesa di un auspicato intervento dell’alleato austriaco.
Durante tutta la campagna, abbiamo visto e soprattutto vedremo, la strategia di Colli fu esclusivamente difensiva, come a Cosseria e come sarà anche a Ceva, nel cui campo trincerato e soprattutto nel cui forte egli aveva grande fiducia per fermare l’offensiva francese verso la pianura e verso Torino. E’ interessante valutarne con attenzione le caratteristiche.
La città di Ceva, antico borgo murato, a cui era stato concesso il titolo di città dal duca Carlo Emanuele I nel 1623, si trova nei pressi della confluenza del torrente Cevetta con il Tanaro, tra la riva destra di questo fiume e la riva sinistra del torrente e forma quasi un triangolo. Aveva allora 400 case con 3.315 abitanti.
La fortezza sorgeva su una delle tre alture settentrionali che circondano la città ad un’altezza di 170 metri a destra del torrente, una posizione strategica eccellente. Il forte era stato voluto da Emanuele Filiberto che… lo fece costruire sulla roccia a perpendicolo di un pendio... a forma di quadrilatero... di cui tre parti erano bastionate; la quarta, prospiciente la città, era occupata dalle caserme. Sorretto da consolidamenti di terra e da baluardi, era munito di fossati e di un ponte levatoio ed aveva anche una galleria scavata nel tufo a cui si giungeva da un sotterraneo aperto nel baluardo di cinta. Era in ogni caso un’opera formidabile per quei tempi. La possente fortezza fu terminata durante il regno del duca Carlo Emanuele I che volle vi fosse aggiunta una chiesetta con l’alloggio del cappellano, quello del comandante, gli alloggi per gli ufficiali e le cantine per la truppa. Un ampio piazzale guardava verso la città. Attorno all’embrione di questa formidabile opera s’erano svolti nel tempo duri combattimenti: se n’erano conteso il possesso i duchi di Milano e del Monferrato, gli aleramici marchesi di Ceva ed i loro cugini del Carretto marchesi del Finale, i ghibellini di Asti, gli spagnoli ed i francesi che volevano conquistare la città che dava accesso alle pianure del Piemonte.
Nel 1796 era ancora ben conservata ed aveva una potenza di fuoco non indifferente se si pensa che disponeva di 22 pezzi di artiglieria. La sua guarnigione comprendeva 480 uomini, ai quali si deve aggiungere un numero imprecisato di artiglieri e puntatori molto validi, alle dipendenze del capitano istruttore Barralis che era stato allievo del conte di Saluzzo, in quel momento comandante del corpo di artiglieria piemontese.
Per quanto riguarda i corsi d’acqua, avevano molta importanza il Tanaro, che lambisce a nord l’abitato, il Cevetta, che separa la città dalla cittadella scorrendo in una valle alquanto incassata, e il Bovina, poco più di un torrente che discende dalla Langa, affluente del Cevetta nel quale confluisce nei pressi di Ceva e forma con il suo corso un fossato profondo naturale.
Dietro il Bovina, erano stati fortificati il bric di Testa Nera e più a nord il bric dei Mondoni, presso la strada dei Piani di Roascio. Ancora più a nord si trovavano alcuni trinceramenti sulle alture del bric della Comma, davanti al villaggio di Torresina.
Infine, un’importante ridotta era stata costruita all’estremità dell’ala sinistra, tra bric Berico e bric Giorgin in località detta la Pedaggera, crocevia delle strade che lungo le creste delle delle Langhe vanno verso Murazzano, Dogliani e Alba. Da quella posizione si controllava altresì sia la valle del Belbo sia la strada di fondo valle in riva sinistra del Tanaro per Dogliani, Cherasco e Bra, chiamata ai tempi postale. La Pedaggera avrà un ruolo di rilievo nella difesa di Ceva.
Alcuni di questi punti erano uniti tra di loro da trinceramenti a staccionata con grossi tronchi d’albero e da batterie piazzate negli intervalli, appoggiati alle spalle dalla cittadella e dalle opere dipendenti tra il Tanaro ed il Cevetta che dominavano anche i due ponti. Davanti a questa linea il villaggio di Paroldo, a 6 chilometri da Ceva, con allora 315 abitanti, era stato trasformato in una sorta di posto avanzato fortificato, armato con cannoni e completava il sistema di difesa di Ceva.
La fortificazione di Paroldo era stata tracciata nel 1745 dal conte di Bourg ed era stata rimessa in ordine nel 1794. Due ufficiali del genio, uno piemontese ed uno austriaco, fecero gettare numerosi ponti volanti sul Tanaro e ne fecero costruire sul Cevetta tre in pietra per poter aver facilità di comunicazioni ed una via rapida di ritirata tra i diversi gruppi di difensori.
La descrizione potrebbe indurre a ritenere che Ceva fosse effettivamente un posizione strategica ma era però solo apparentemente forte, perché poteva essere aggirata a settentrione e a levante dalla parte di Castellino ed anche a ponente, nonostante che da questo lato i corsi del Mongia e del Corsaglia potessero presentare qualche difficoltà nell’attraversamento.
Il comando del forte e della città di Ceva era stato affidato al generale conte Bruno di Tornaforte. I soldati erano tra i migliori dell’armata, ma gli ufficiali, in prevalenza nobili, ... erano scoraggiati dai successi francesi, preoccupati per i loro averi e tentavano di non compromettersi per l’avvenire
Il giorno 13 aprile nel campo trincerato di Ceva erano presenti circa 8.000 uomini ma le forze si ridussero però quasi subito. Il reggimento Guardie, già schierato a Testanera con il 1° battaglione del reggimento di Savoia, il giorno 15 fu mandato a San Michele sul Corsaglia e nello stesso giorno il 1° battaglione granatieri fu arretrato alla Bicocca di San Giacomo. Un battaglione austriaco fu destinato a Lesegno per proteggere il ponte di barche che era stato gettato al mulino d’Arassi, nei pressi della mescia, cioè alla confluenza del Mongia con il Corsaglia, e univa i difensori di Ceva al campo della Bicocca.
In sostanza, il 14 ed il 15 aprile, le truppe piemontesi schierate nel cebano non arrivavano a 5.000 uomini. Concentrate nei pressi di Ceva e alle sue spalle per garantirsi in ogni caso un ulteriore ripiegamento verso Mondovì, le unità di Colli speravano soprattutto in un’entrata in scena degli imperiali nel loro settore. Si illudevano di poter iniziare un’offensiva congiunta con le truppe di Beaulieu, secondo i piani che Colli stesso aveva proposto il mese precedente ad Alessandria. Questi invece rifugiatosi con i resti della sua armata nei dintorni di Acqui non si mosse e non aveva nessuna intenzione di muoversi in aiuto ai piemontesi, anche perché gli erano giunte notizie sull’armistizio che il vecchio re di Sardegna era intenzionato a chiedere.
La sua vera preoccupazione, lo sappiamo, in realtà era la salvaguardia di Milano perché queste erano le direttive di Vienna. Si spiega così perché paradossalmente Beaulieu reclamò l’intervento di Colli, supplicandolo di accorrere in suo aiuto proprio nel momento in cui questi a sua volta stava subendo l’attacco di tutta l’armata francese e chiedeva un intervento austriaco.

Bonaparte riprende l’offensiva per conquistare Ceva
Bonaparte non sapeva che le forze piemontesi avevano abbandonato la posizione di Montezemolo ed era impaziente di completare il più rapidamente possibile la definitiva separazione tra i due schieramenti avversari. Era stato fermato il 13 dalla resistenza del Provera, bloccato il 14 dai dubbi che si erano insinuati nella sua mente per l’attacco di Dego, immobilizzato ancora il 15 per l’attacco di Wukassovitch, ora aveva premura di occupare le alture di Montezemolo, la cui conquista aveva messo inizialmente in calendario per il 13 aprile.
Ancora la sera del 15 Bonaparte temeva però un’incursione di Beaulieu su Dego e la val Bormida. Per questo motivo raccomandò a Laharpe e a Masséna di porre la massima attenzione per prevenirla e volse la sua attenzione a Augereau che avrebbe dovuto il mattino seguente attaccare e conquistare Montezemolo. Laharpe ricevette nella serata del 15 l’ordine di ritrasferire la sua divisione nuovamente a Saliceto per poter appoggiare alle 9 del mattino seguente l’attacco di Augereau e di Joubert su Montezemolo.
Bonaparte, però, era preoccupato per la sua destra che era formata solamente dalle truppe di Masséna rimaste a Dego. Il mattino del 16 ordinò a Laharpe una conversione delle truppe sulla destra, cambiando le direttive della sera precedente secondo le quali avrebbe dovuto convergere su Montezemolo, anche perché Montezemolo era stata abbandonata da Colli senza colpo ferire. Nel dispaccio recato dal suo aiutante Marmont era indicata la direzione di marcia: ... portarsi su Santa Giulia, di qui a Scaletta e percorrere tutta la valle Uzzone fino a Cortemiglia dove si dovrà controllare le due carrabili provenienti da Spigno e da Acqui. La sintetica e precisa risposta di Laharpe gli venne recapitata ancora nella mattina: Tutto andrà per il meglio. Laharpe.
Raccomandò a Joubert di tenersi preferibilmente sulla destra ed era talmente preoccupato dell’arrivo di truppe austriache che avvisò prudentemente il Direttorio. Non osò invece ancora trasferire il quartier generale da Carcare e il giorno seguente mandò le truppe di Laharpe verso Sassello. I suoi timori non erano ancora svaniti il mattino del 16, tuttavia la divisione Sérurier aveva continuato a scendere come abbiamo visto nella valle del Tanaro e per la valle dell’Inferno nella pianura tra il Corsaglia ed il Tanaro fino a Lesegno. Avevano così ormai aggirato a sinistra il campo trincerato di Ceva.
Intanto Augereau la mattina del 15 aveva raggiunto Roccavignale e nel pomeriggio aveva attaccato le truppe di Bellegarde lasciate di retroguardia a Montezemolo. Non ci fu praticamente combattimento e mentre Bellegarde ripiegava su Paroldo i francesi si fermarono nell’accampamento lasciato libero dai piemontesi. Finalmente la grande, fertile e sognata pianura padana attorniata dall’imponente cerchia delle Alpi ancora innevate era davanti all’armata d’Italia in tutto lo splendore dei colori primaverili, come Napoleone stesso annotò nelle sue memorie sulla campagna d’Italia … una cintura bianca di neve e di ghiaccio, una prodigiosa altezza, contornava l’orizzonte di questa terra promessa…. In quella tersa mattina di aprile il sole tingeva di rosa i monti innevati e gli uomini di Augereau batterono le mani per l’entusiasmo e lo stesso Bonaparte perdette la sua impassibilità arringando gli uomini con le famose parole... Annibale superò le Alpi, noi le aggirammo!
Queste parole dettate a Sant’Elena e riprese da molti storici hanno una superba amplificazione retorica. Le operazioni però incalzavano e aveva necessità di riconoscere il prossimo obiettivo. Probabilmente nel di giro di ricognizione fu accompagnato dal generale Berthier, se dobbiamo dar credito ad una lettera da questi indirizzata quel giorno a Clarke, in cui annuncia la sua partenza con Bonaparte per andare a riconoscere Ceva.
Quella stessa mattina del 16 aprile diede ordine alla divisione Augereau di proseguire il suo movimento verso Ceva.