Seguici anche su Facebook! |
Uno degli aspetti più caratteristici degli abitanti di Ceva è stata da sempre la propensione al commercio, grazie anche alla posizione geografica occupata dalla Città, che consentiva, oltre alle trattative relative ai prodotti locali, anche le compravendite di tutte le derrate ed i manufatti che potevano provenire dal vasto territorio circostante. Inoltre Ceva era punto quasi inevitabile di passaggio, dalla Liguria al Piemonte e viceversa, per una molteplicità di merci di lontana provenienza o comunque non specifiche del posto (sale, pesce di mare, olive, olio, agrumi, riso, zucchero, coloniali, spezie, stoffe orientali, carta, ecc.). Vecchi documenti evidenziano poi l’esistenza di una serie di attività lavorative che incrementavano gli scambi commerciali con i paesi della Langa e quelli della Riviera, con le aree pedemontane e la pianura piemontese. In un atto del 1064, ad esempio, già era annotata l’operosità di molini e battanderi (macchine mosse da una corrente d’acqua per rassodare tessuti e pelli). Nel 1235 il marchese Guglielmo Ceva vendette ad un commerciante ligure venti mole da mulino fatte con pietra estratta dalla cava delle Mollere. Un ordinato municipale del 1351 informava che il podestà di Ceva forniva garanzie per la sicurezza e la protezione da ladri e predoni a chi avesse preso parte alla Fiera di San Luca del 18 ottobre (...Generales nundinas in festo sancti Luce apostolorum...). Negli statuti del 1387 venne concessa dai marchesi di Ceva, a seguito della richiesta del sindaco Vachino (...auditis et intelectis aliquibus supplicationibus eis factis pro parte comunis Ceve, videlicet per Vachinam Vacham de Ceva, sindicum ...) l’autorizzazione a vendere sul mercato locale uve provenienti dai vigneti della Langa.
Questo ha consentito al commercio di mantenersi nei secoli e fino ad oggi come una delle maggiori risorse economiche, diventando l’occupazione di una parte cospicua di popolazione. Ciò favorì anche lo sviluppo di assidui ed animati mercati con importanti negoziazioni di prodotti tipici stagionali, come quelle dei bozzoli o delle castagne bianche, e di fiere e sagre di cui alcune hanno una tradizione secolare, come quella di santa Lucia, ed altre hanno acquisito rilievo, anche a livello nazionale, in tempi più recenti come la Mostra del Fungo.
L’origine della Fiera di Santa Lucia, che si tiene a Ceva ogni 13 dicembre, è remota. La prima prova documentale è del 1351. Lo storico cebano Giuseppe Barelli, venne a conoscenza, da un testo di un autore rapallese di fine Ottocento (Arturo Ferretto, Documenti intorno alle relazioni tra Alba e Genova), dell’esistenza di un’attestazione di quell’anno per mezzo della quale il sindaco di Ceva invitava il sindaco di Moncalieri a partecipare alle fiere di San Bartolomeo e di Santa Lucia.
Quale prova dell’animazione e dell’intensità dei traffici commerciali sui territori del Marchesato, già nel XIV secolo, i marchesi Ceva avevano acquisito il diritto di battere moneta. Il duca Carlo Emanuele II nel Seicento accordò l’attestato di conferma per due fiere a favore della comunità di Ceva, affinché nelle date da questa stabilite non si potessero tenere fiere in altri luoghi che potessero essere in concorrenza.
L’arciprete Giovanni Olivero nelle sue Memorie affermava che nell’Ottocento, nel corso dell’anno, si tenevano ben cinque fiere: il 5 maggio, il 13 luglio detta Fiera di San Clemente, il 25 agosto, il 19 ottobre e il 13 dicembre la Fiera di Santa Lucia. Alcune di queste date non corrispondono al santo di riferimento. Infatti il 13 luglio non si festeggia nessun san Clemente (può essere che ci fosse stato un nesso con il fatto che il 24 luglio 1786 venne traslato nella chiesa dell’arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina il corpo del san Clemente martire, ancor oggi ivi custodito), inoltre la fiera di agosto era quella di San Bartolomeo, che si celebra il 24, cioè il giorno prima e quella di ottobre era la Fiera di San Luca, che ricorre il 18 e non il 19. Probabilmente vi fu qualche errore nella stesura tipografica del manoscritto. In quel secolo un forte impulso commerciale venne dato dai prodotti delle attività delle numerose filande e filatoi, che si giovavano delle estese coltivazioni della canapa e del gelso. In Ceva era anche in funzione uno stabilimento bacologico, con annesso un regio osservatorio sericolo, per il processo selettivo degli elementi propri della bachicoltura, dalla quale prendeva vita un fiorente mercato di bozzoli. Si tenevano poi tre mercati durante la settimana: il martedì, il giovedì ed il sabato, mentre quello dei bovini era allestito tutti i giovedì di aprile, maggio, giugno e luglio al borgo Sottano.
In occasione di fiere e mercati una gran massa di gente si spostava in Ceva e ai numerosi compratori e mercanti, ambulanti, imbonitori e faccendieri si univano, a rendere più variegato e caotico l’avvenimento, saltimbanchi, burattinai e giocolieri, poeti e cantastorie, mendicanti e zingari, ciarlatani di ogni tipo, usurai, mariuoli e tagliaborse. Diventava così piuttosto impegnativo il da farsi di gendarmi, gabellieri, mediatori e di tutti quelli che erano incaricati dell’ordine pubblico e del controllo sul corretto svolgimento delle trattative.
Ancora nei primi anni del secolo scorso la Fiera di Santa Lucia durava undici giorni, fino alla vigilia di Natale. Con tutta probabilità venne istituita perché coincideva con il periodo in cui si concludeva il ciclo di essiccamento delle castagne, il prodotto che caratterizzò maggiormente l’economia agricola di alta collina e di montagna. Infatti dopo la raccolta, la cernita, il passaggio sul graticcio dell’essiccatoio, che poteva durare anche un mese, la sbucciatura con il sacco di canapa sbattuto o con il pestello e la separazione dalla pula, le castagne secche, dette anche bianche, erano immesse sul mercato verso i primi di dicembre. Sicuramente era il commercio che principalmente contraddistingueva la fiera e la collocazione fisica dei venditori, che giungevano con i loro carri stracolmi di sacchi, era sulla piazza del municipio. Abbastanza frequenti erano le dispute che si intrattenevano e le successive lamentele che comparivano sui periodici dell’epoca, circa l’ingombro che causavano al passaggio dei carriaggi, le bancarelle di altre mercanzie assiepate lungo le strette vie di accesso alla piazza, a testimonianza che alla compravendita delle castagne bianche era riconosciuta la priorità su tutto il resto. Parallelamente alle contrattazioni, continuavano per giorni anche abbondanti libagioni, con ottimo tornaconto per i tanti ristoratori e locandieri. I primi decenni del Novecento furono contrassegnati da massicci flussi migratori verso la Francia ed i paesi d’Oltremare, con i primi conseguenti abbandoni delle zone di montagna. Poi alcune malattie del castagno e la conversione a terreno da pascolo di molte aree boschive portarono alla perdita del ruolo strategico della castagna nel sistema produttivo agricolo montano.
La Fiera di Santa Lucia assunse così progressivamente un carattere più indeterminato, mirando maggiormente alla commercializzazione di una quantità di prodotti, merci e manufatti molto diversificati, piuttosto che considerare preminente una specifica produzione come era avvenuto in precedenza. L’allevamento del bestiame, soprattutto bovino, venne comunque sempre tenuto in particolare considerazione disciplinando i mercati con un regolamento apposito approvato dall’Amministrazione comunale nel mese di marzo del 1915. Inoltre venivano abitualmente indetti concorsi a premi per i capi migliori. A partire dall’ultimo dopoguerra, quando anche i contadini delle nostre terre non poterono più fare a meno di meccanizzare la loro attività, trovò notevole impulso il settore delle macchine agricole. La premiazione dei bovini di qualità eccellente si è mantenuta come buona consuetudine fino ad oggi, tempo in cui la Fiera di santa Lucia è rimasta l’unica occasione dell’anno nella quale gli allevatori del circondario, invero non più numerosi, possono portare il loro bestiame in esposizione e venderlo agli offerenti migliori, consentendo così il mantenimento di una peculiarità storica nell’ambito di una rassegna fieristica, esponenzialmente generalizzatasi da alcuni decenni. La manifestazione ai giorni nostri, contraddistinta dal logo disegnato dal pittore cebano Tanchi Michelotti su richiesta dell’assessore Silvio Gamba all’inizio degli anni Duemila, si divide in: Antica Fiera di Santa Lucia, che riguarda il bestiame e Fiera Mercato, riferita alle esposizioni degli ambulanti. Inoltre nei primi decenni del secolo scorso per più volte si tennero altre rassegne particolari: mercato dei bozzoli, festa e mercato delle uve, fiera del grano da semina, fiera del suino grasso, ecc.
Oltre alla Mostra del Fungo, che da più di cinquant’anni rende famosa la Città ed attira costantemente migliaia di visitatori nella terza domenica di settembre, negli anni si sono tenuti alcuni altri eventi espositivi. Ad esempio nel 1961 in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia fu approntata nei locali della Società operaia una mostra sul Risorgimento, mentre alcuni anni dopo presso le scuole elementari venne allestita in un paio di occasioni la Mostra dell’Artigianato. Ad inizio anni Ottanta, propiziata dall’allora assessore Giuseppe Berra, si organizzò l’Expo Ceva Miele, che fu replicata nel 1986. In tempi più recenti rassegne equine, auto e moto d’epoca, esposizioni di contorno alla mostra micologica. In termini fieristici da alcuni decenni è venuto ad affermarsi sempre di più, e mantiene tuttora la sua rilevanza, l’appuntamento del 15 agosto relativo al Mercatino di Cose d’altri tempi. Ultimamente inoltre sta assumendo importanza il Desbarasuma di fine agosto e dallo scorso anno la Ceva Antiquaria ed artigiana ogni prima domenica del mese da aprile a dicembre e a metà maggio La Prima, mostra dei funghi e delle erbe di primavera.
Gli obiettivi dei lavori di ricerca potrebbero vertere innanzitutto su una capillare individuazione di tutti gli esercizi commerciali che si sono alternati negli ultimi secoli sulla base delle licenze rilasciate dall’amministrazione preposta, sulla loro collocazione fisica all’interno del tessuto urbano, sulle tendenze al prevalere di certi generi di commercio rispetto ad altri, sul trasferimento ereditario dell’attività all’interno del medesimo ceppo famigliare, sulla qualità funzionale ed estetica delle grandi vetrine, delle piccole botteghe e dei laboratori, sul come e sul perché l’espandersi di tutti questi negozi è venuto a modificare la struttura delle vie e dei borghi, sulla lenta ma progressiva dismissione di tanti nuclei a favore della rete della grande distribuzione organizzata. Un altro ambito di indagine potrebbe essere quello dello studio della trasformazione delle circostanze e delle dinamiche mercatali, di smercio e di contrattazione dal medioevo ai giorni nostri. Infine sarebbe altresì importante individuare e suggerire quali potrebbero essere le future strategie da adottare affinché, per mezzo della qualità dell’esercizio commerciale e della consistenza e dell’aspetto del settore fieristico ed espositivo, possa essere non solo mantenuto ma anche incrementato il livello di attrazione turistica delle nostre zone, con conseguenti positive ricadute sul benessere globale.