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I primi Statuti della comunità di Ceva, datati 1357 e scritti in latino medievale, sotto forma di una specie di codice penale già contemplavano le condanne infliggibili a chi si rendeva protagonista di vari tipi di atti criminali: omicidio, aggressioni, uso e porto abusivo di armi, furto, ingiuria, falsificazione di monete e documenti, falso giuramento, violazioni di domicilio, frodi nel commercio, mancanza di buon costume nei confronti delle donne, bestemmie, ecc. Numerose variazioni ed integrazioni apportate nei secoli successivi avrebbero disciplinato sempre più dettagliatamente tutto quanto relativo ad ogni tipologia di reato. Nonostante che la collettività si fosse quindi sempre dotata delle opportune leggi per perseguire i malviventi, nella storia della Città questi non vennero certamente mai a mancare sia come singoli, sia riuniti in aggregazioni delinquenziali. Benché spesso alterate ed ampliate dalle leggende che intorno ad esse fiorivano come non ricordare le brigantesche scorrerie dei Masnadieri di Carrù, una compagine di avventurieri del Quattrocento sotto il comando di Lucemburgo dei Marchesi di Ceva o le ingloriose gesta nel secolo successivo di altri due marchesi, i fratelli Febo e Gilardino, autori di delitti orrendi anche in seno alla propria famiglia. Le guerre e le conseguenti occupazioni dei territori hanno sempre portato con sé episodi di violenza, ruberie, corruzione, sopraffazione, esecuzioni sommarie. Così fu nel periodo napoleonico sotto il governo francese o nel secolo scorso nei venti mesi di dominazione tedesca. Sicuramente atroce fu la strage che precedette la tristemente famosa fiera di Priero del 1799, mentre forse fu esagerata la infausta fama che circondò la cosiddetta Banda Maurina sul finire dell’Ottocento, un’accozzaglia di mariuoli che depredava i viandanti della Val Tanaro, ma non una congrega di crudeli assassini come impropriamente si raccontava.
Obiettivo ed oggetto delle ricerche dovrà essere l’approfondimento sui personaggi, sulle pene, sui fatti di cronaca nera che sono tramandati dai testi di storia locale, oltre ad altri meno eclatanti, ma non meno significativi, reperibili dalla consultazione degli archivi o dalla cronaca di vecchi settimanali. Sarà oltremodo interessante uno studio sulla collocazione delle varie carceri (al borgo Sottano, in via Pallavicino, nella caserma Galliano, nel fabbricato del vecchio ospedale) e sul loro grado di importanza nel tempo nell’ambito degli ordinamenti penitenziari. Inoltre si dovrà poter documentare analiticamente, andando ad integrare gli studi già da qualche tempo realizzati, le vicende delle prigioni del Forte e quelle legate ai personaggi ivi rinchiusi: lo storico e giurista Pietro Giannone, Anna Canalis di Cumiana marchesa di Spigno, i fratelli Francesco Dalmazzo e Nicola Vasco, tanto per citare i più noti.
Nondimeno si potrà provvedere ad un’attenta disamina sul contesto sociale in cui si muovevano alcuni miserandi “rubagalline” nostrani, rimasti ancor oggi nella memoria di molti o sull’efferatezza degli omicidi del carabiniere Cesare Calzanera, di Rosa Barbero, di Ignazio Sedita fino a quello di pochi anni fa della coppia Katerina Marcovic e Salvatore Ciantia, senza dimenticare circostanze, sempre più frequenti, di ordinaria criminalità come traffici illeciti, truffe, raggiri o furti negli appartamenti e nelle chiese.