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Associazione Ceva nella Storia - Letterario e Politico '800: CARLO MARENCO (Cassolnovo 1800 - Savona 1846)

Letterario e Politico '800: CARLO MARENCO (Cassolnovo 1800 - Savona 1846)     Torna all'indice


Carlo Giovanni Battista Marenco nacque il 1º maggio 1800 a Cassolo di Lomellina, l’attuale Cassolnovo, in provincia di Pavia, dove i genitori si erano trasferiti da Ceva per motivi di lavoro.

Figlio unico: sua madre, Ippolita Bassi, apparteneva ad un’antica e nobile famiglia cebana; suo padre, Lazzaro, anch’egli di illustre famiglia originaria della frazione Poggi Santo Spirito, era addetto all’amministrazione delle proprietà del casato dei marchesi Caravaggio Gonzaga. Dopo pochi anni la famiglia fece ritorno a Ceva.

Carlo Marenco compì i primi studi come esterno nel collegio cittadino, avendo per maestro Pietro Fecchini (o Fechino), al quale riconobbe il merito di avere favorito il proprio sviluppo intellettuale. Si iscrisse quindi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, dove segui con ottimi risultati soprattutto le lezioni di retorica del celebre gesuita napoletano padre Francesco Manera. Divenne amico di Angelo Brofferio, uomo politico e scrittore e, manifestò chiare inclinazioni per le idee liberali di rinnovamento che circolavano negli ambienti culturali più sensibili. In questo periodo ebbe modo di approfondire la sua conoscenza delle opere di Alfieri, Shakespeare, Manzoni, Schiller, Goethe, Foscolo, Niccolini, tutti autori che influirono nella stesura dei suoi componimenti. Conseguita la laurea in legge, a diciotto anni tornò a Ceva, molto incerto se dedicarsi alla carriera di letterato o, come voleva il padre, intraprendere un’attività amministrativa più redditizia. Aveva nostalgia della vita torinese, ma presto considerò Ceva il luogo ideale e tranquillo dove dedicarsi allo studio ed alle composizioni poetiche, anche perché Lazzaro Marenco, nel frattempo divenuto sindaco della città, considerata anche la cagionevole salute del figlio, non si oppose più al fatto che questi si votasse alla letteratura.

La prima tragedia che compose fu Aiace, ma la distrusse. Poi affrontò un tema biblico impegnativo con Il Levita d’Efraim ed uno storico con Corradino di Svevia. Entrambe le opere non vennero però pubblicate e rimasero sconosciute fino alla sua morte. Pure inedite furono Arnaldo da Brescia e Cecilia da Baone.

Il 31 gennaio 1826 si sposò con Luisa Cantatore Del Pasco, donna monregalese di famiglia siciliana, bella, intelligente e colta. Ebbero quattordici figli: Ippolita Marianna Benedicta, Angelo, Severina Leopolda Gabriella, Aloisia Timotea, Leopoldo Paolo, Lazzaro Giovanni, Giacinto Giovanni Romano, Onorina Angela Ippolita, Emilio Angelo Ippolito, Vincenza Giuseppa, Maria Angela Ippolita, Marianna, Benedetta, Isabella. Di questi, solo nove sopravvissero, tra cui Leopoldo, che avrebbe seguito le orme del padre.

Nel 1827 stampò la sua prima tragedia, Buondelmonte e gli Amidei, rappresentata al teatro Carignano di Torino, che ottenne un primo importante successo. Dal 1827 al 1842 compose altre undici tragedie in versi, tutte date alle stampe e sette rappresentate. Gli argomenti furono tratti dalla Bibbia, dalla storia medievale o dalla Commedia dantesca. L’adesione alle nuove idee teatrali di Alessandro Manzoni, oltre al sentimento patriottico, a innegabili qualità ed abilità «nel congegnare e convogliare situazioni e dialoghi verso intensi effetti patetici e drammatici» (Mattalia), assicurarono alle opere teatrali del Marenco largo consenso di critica e di pubblico. L’apice del successo lo ottenne con la Pia de’ Tolomei.

Dimorò costantemente a Ceva, salvo brevi soggiorni nelle città dove si rappresentavano le sue tragedie o in quella natale di Cassolnovo, ospite del conte Giuseppe Arconati. Qui ebbe occasione di conoscere altri illustri letterati dell’epoca: Alessandro Manzoni, Giuseppe Giusti, Niccolò Tommaseo, Silvio Pellico, Giovanni Berchet, con alcuni dei quali intrattenne fitti rapporti epistolari, già molto assidui con altri come Vincenzo Gioberti, il barone Giuseppe Manno o Pier Alessandro Paravia. Amava il silenzio, le passeggiate, le partite a carte con gli amici all’osteria.

Seguendo la tradizione di famiglia accettò di entrare a far parte della pubblica amministrazione, prima come vice sindaco nel 1828, poi come sindaco dal 1837, dando prova di grandi capacità organizzative e decisionali. Si prodigò per una serie di significativi interventi per l’ammodernamento ed abbellimento della Città: avvio della costruzione del nuovo Palazzo comunale, sistemazione delle arcate dei portici e realizzazione della nuova pavimentazione degli stessi, costruzione dell’ampia gradinata di accesso al Duomo, allargamento della contrada Franca. Fu anche il promotore del consorzio dei Comuni interessati alla costruzione della strada della Pedaggera.

Venne nominato Regio delegato sugli Studi per il distretto di Ceva ed in tale veste ebbe molto a cuore il Collegio ed il Pio Istituto delle Scuole, ove insegnò gratuitamente la filosofia, ottenendo per lo stesso sussidi governativi o da privati, come il venerando canonico Pio Bocca. Inoltre favorì il cambio del fabbricato dell’Ospedale con quello del Collegio per avere più spazi a disposizione degli studenti. Con il canonico Olivero fu tra i fondatori dell’Accademia di Musica della Città di Ceva.
Elevata sensibilità sociale dimostrò in occasione di gravi calamità che colpirono la cittadinanza mietendo molte vittime, come le inondazioni, l’epidemia colerica del 1835, il crollo del muro di cinta del Castello Rosso nel 1839. Proprio per preservare la città dai frequenti allagamenti del Cevetta escogitò il suo progetto più ardito che prevedeva la modifica del percorso del torrente. Questo intervento non poté realizzarsi per l’opposizione di alcuni privati, ma soprattutto a causa del suo trasferimento a Savona nel 1843, a seguito della nomina a consigliere dell’Intendenza Generale. Un tale incarico lo aveva espressamente richiesto per poter degnamente mantenere la sua numerosa famiglia, ma per questo dovette lasciare quello di sindaco di Ceva.

Non gli mancarono onorificenze civili ed accademiche: il 10 giugno 1836 fu accolto membro dell’Accademia Filodrammatica di Torino e a novembre dello stesso anno del Gabinetto Letterario di Mondovì; il 25 maggio 1838 fu nominato componente della Società Filodrammatica di Siena e il il 14 agosto 1840 dell’Accademia Filarmonica, Poetica e Letteraria di Alba; il 29 dicembre 1841 socio corrispondente dell’Imperiale e Reale Accademia di Scienze, Lettere ed Arti della Valle Tiberina; il 21 giugno 1845 fu aggregato alla Società di Incoraggiamento all’Industria di Savona. Nel marzo 1837 fu insignito da Carlo Alberto della croce dell’Ordine Civile di Savoia.

Le tragedie di Carlo Marenco furono molto apprezzate dalla critica nazionale e vennero raccolte tra il 1837 ed il 1844 in quattro volumi Tragedie di Carlo Marenco da Ceva, editi in Torino dal tipografo Reviglio. Venne favorevolmente considerato anche da insigni autori francesi come Alexandre Dumas, Eugène Scribe e Victor Hugo, che gli tributarono elogi durante una sua breve permanenza a Parigi.

Fra le altre attività del Marenco si ricorda la collaborazione, probabilmente a titolo gratuito, con due giornali piemontesi d'ispirazione liberale: "Il Subalpino" e "Letture di Famiglia” sui quali riportò periodicamente i suoi saggi di critica letteraria ed estetica.
L’impegno umanistico di Carlo Marenco riguardò anche numerose composizioni poetiche raccolte nel 1856 nel volume "Tragedie inedite" a cura di Giovanni Prati.

Carlo Marenco a Savona rimase circa tre anni, durante i quali gli impegni amministrativi e il progressivo peggioramento delle condizioni di salute gli impedirono di dedicarsi a qualsiasi tipo di attività letteraria.

Morì all’età di quarantasei anni, il 20 settembre 1846, per un attacco di febbre tifoidea. Fu seppellito con solenni funerali in una cripta della cappella del cimitero urbano di Ceva. Questa chiesa, intitolata a sant’Agostino, era stata costruita quattro anni prima sui resti di parte del vecchio convento agostiniano anche con il contributo dello stesso Marenco, che aveva elargito una somma cospicua. Dopo alcuni decenni, ampliato il cimitero, con la costruzione di un primo lotto dell’attuale porticato, i suoi resti mortali furono traslati nel famedio, vicino a quelli del figlio Leopoldo.

Il 28 ottobre 1894, con sontuosa cerimonia ed i discorsi ufficiali del professor Andrea Musso e dell’avvocato Ferdinando Siccardi, fu inaugurato un busto marmoreo a suo ricordo, posto sulla facciata del Palazzo comunale, opera dello scultore torinese Alessandro Casetti, unitamente a un altro dello stesso autore in memoria del colonnello dei carabinieri reali Stefano Degioannini. A lui in Ceva è dedicato il Teatro Civico, inaugurato il 28 settembre 1861 con la recita della Pia de’ Tolomei. Il teatro venne completamente restaurato negli anni 1974 - 1975.
Inoltre portano il suo nome il Civico Istituto Musicale e la via principale del centro storico con i caratteristici portici, un tempo chiamata via delle Volte e contrada Maestra. In occasione di alcune edizioni del carnevale cebano degli anni Ottanta del secolo scorso la sua figura fu interpretata come maschera rionale in rappresentanza del Centro storico.
Oltre ad essere citato in numerose opere enciclopediche generali o particolarmente riferite alla letteratura ed al teatro, Carlo Marenco e le sue composizioni sono stati materia specifica degli scritti di diversi autori: Giovanni Bellardone, Angelo Brofferio, Arcangelo Ferro, Riccardo Luciano e Mario Robaldo, Eufemia Marchis Magliano, Giovanni Olivero, Eutilia Orlandi, Antonino Parato, Giovanni Prati, Giovanni Solari, Niccolò Tommaseo.



* l’elenco completo delle opere è inserito nella sezione apposita di questo sito.