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Donato Colombo, figlio unico di Abramo e di Grazia Levi, nacque a Ceva il 19 novembre 1838.
Fu un Garibaldino e fece parte della spedizione dei Mille che l’11 maggio 1860 sbarcò a Marsala. Al tempo del suo arruolamento con Garibaldi era studente alla Facoltà di Matematica dell’Università di Torino. Fu inserito nella 3^ compagnia con il grado di sergente. Dopo la battaglia di Calatafimi combatté a Corleone, in un’azione diversiva. In seguito, riunitosi con il grosso della spedizione a Palermo, fu promosso sottotenente del Genio. Passò lo stretto di Messina e nella battaglia del Volturno (26 settembre - 2 ottobre 1860) fu ferito, risultando comunque uno dei pochi superstiti della sua compagnia.
Dopo un periodo di convalescenza a Napoli e la conclusione dell’Impresa pensò di rimanere nell’esercito, ma il trasferimento in fanteria e la mancata promozione ad un grado superiore gli fecero decidere di abbandonare la carriera militare e di dedicarsi all’insegnamento.
Donato Colombo fu professore di matematica nel ginnasio e nelle scuole regie tecniche di Trapani dove rimase fino al 1878. Si trasferì poi a Milano dove assunse la direzione della scuola tecnica “Paolo Frisi” e poi la presidenza del liceo “Cesare Beccaria”.
L’11 maggio 1910 la città di Marsala gli conferì la cittadinanza onoraria. Anche la giunta comunale di Ceva, in seguito ad una delibera del 20 settembre 1910, in occasione del cinquantenario della spedizione gli inviò una lettera di omaggio, a cui lo stesso rispose ringraziando la sua Città natale per essersi ricordata di lui ed esprimendo ad essa tutta la sua devozione.
Morì a Milano il 20 gennaio 1920.
La sua figura di garibaldino è ben delineata in un articolo, che si riporta di seguito, a firma di Renato Simoni sul Corriere della Sera del 17 maggio 1910, relativo ai superstiti della leggendaria impresa del 1860 residenti in quell’epoca a Milano:
« Il professore Donato Colombo, direttore della scuola tecnica Paolo Frisi, è un ometto piccolo, dal viso magro e pallido, dagli occhi penetranti, dal secco naso aquilino, con due baffetti grigi e dei venerandi capelli d’un nitore d’argento. Quando parla la frase gli esce quadrata, elegante, senza che nessun gesto l’accompagni.
Il suo volto resta impassibile, ma si indovina a tratti nella sua parola l’affocarsi della passione. Era studente in matematica a Torino quando seppe dal Plutino che si organizzava la spedizione e partì subito per Genova.
Si battè dappertutto; fu tra i soldati che Garibaldi, prima di Palermo, mandò a fare una diversione per attrarre su di essi il corpo d’esercito borbonico comandato dal Bosco.
Erano in sessanta e marciarono nella notte fin sopra Corleone dove il nemico li inseguì credendo di inseguire Garibaldi. Quindici cannonate l’accolsero, ma peggiore delle cannonate fu per il Bosco la scoperta che l’ammirabile strategia del Filibustiere l’aveva tratto in inganno.
Si precipitò su Palermo con le sue schiere rabbiose e anelanti alla strage, vi trovò l’armistizio.
Promosso ufficiale del Genio il Colombo sbarcò in Calabria con la seconda spedizione, poi marciò su Napoli e Caserta e a S. Angelo di Capua dove furono piantate circa sessanta batterie sotto il fuoco continuo dei borbonici. La notte del 30 settembre Garibaldi, antiveggendo l’assalto che il nemico avrebbe dato il giorno dopo, passò in rassegna i lavori dell’artiglieria e del genio e poi disse a Bixio (e il Colombo lo udì): - Nino, fra poco il nemico ci assale con tutte le sue forze; sta attento, ti raccomando Maddaloni; là si vince o si muore. E Bixio rispose: - Chino il capo, generale. Saprò vincere o morire.
Nell’ultima ora della battaglia del Volturno il Colombo fu ferito. La sua compagnia di centocinquanta uomini stava raccolta dietro un muro. Il cannone lo diroccava; non ne rimaneva in piedi che un rudere fumoso, e dei centocinquanta non erano vivi più che otto, e resistettero per quattro ore; la stessa palla di fucile lacerò a lui le due mani e uccise il sergente che gli era vicino. »
La Città di Ceva nel 2011, in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, gli dedicò una delle due salite pedonali che portano alla stazione ferroviaria.