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Associazione Ceva nella Storia - Militare '800: GIUSEPPE GALLIANO (1846 Vicoforte - 1896 Adua)

Militare '800: GIUSEPPE GALLIANO (1846 Vicoforte - 1896 Adua)     Torna all'indice


Giuseppe Filippo Galliano nacque a Vicoforte il 27 settembre 1846.

Il padre Giacomo, sposato con Luigia Boasso, fu tenente della Brigata Cuneo dell’Esercito Sardo e nel 1821 compagno di Santorre di Santa Rosa, insieme ai conterranei Amedeo Ravina e Fortunato Prandi durante i moti costituzionali in Piemonte. A causa di ciò venne esiliato nel natio comune di Mombarcaro, dove la famiglia aveva dei possedimenti nella frazione San Luigi. Dopo dieci anni gli fu concessa l’amnistia, perdette il grado militare, ma riuscì ad entrare nell’amministrazione della Finanza piemontese come esattore delle gabelle in vari comuni. Durante la permanenza a Vicoforte gli nacquero tre figli maschi: Giuseppe, Eugenio (medaglia d’argento al valor militare, morto nel 1894, combattente nella III Guerra d’Indipendenza e nelle lotte contro il brigantaggio) e Libero (che fu notaio a Ceva).

Giuseppe Galliano trascorse la sua infanzia a Ceva sino al 1858, poi, in funzione del riconoscimento al padre del grado di capitano della Riserva, gli fu consentito di accedere al Collegio Militare di Asti. Nel 1864, a 18 anni, passò alla Scuola Militare di Fanteria e Cavalleria di Modena, come soldato volontario e ne uscì due anni dopo come sottotenente, destinato al 24° Reggimento Fanteria, con cui partecipò alla Campagna contro gli Austriaci.

La sua carriera nei primi anni fu piuttosto lenta. Nel 1867, in conseguenza di una riduzione degli effettivi del corpo di appartenenza fu collocato in aspettativa. Venne reintegrato nel mese di dicembre dell’anno successivo. Il 21 dicembre 1873 fu promosso tenente e nel mese di febbraio del 1880 trasferito al 7° Battaglione Alpino del distretto di Lecco e nel 1882 al 1° Reggimento Alpini. L’11 luglio 1883 divenne capitano e ritornò in Fanteria, prima nel 58° Reggimento e l’anno dopo nell’ 82° della Brigata Torino.

Galliano era poco appagato dalla vita di guarnigione, dove non poteva mettere in risalto la sua tempra di combattente. Intanto l’Italia, pur nei limiti che le furono consentiti dalla concorrenza delle altre nazioni europee più potenti, aveva dato inizio anch’essa alla politica espansionistica coloniale in Africa, occupando il porto di Massaua sulla costa del mar Rosso ed alcuni territori circostanti, provocando ben presto le reazioni del Negus di Abissinia, Giovanni IV. Il 26 gennaio 1887 una colonna militare italiana venne sterminata a Dogali da forze abissine in stragrande maggioranza numerica. Il Governo italiano mise di conseguenza in atto una grande spedizione militare e alla brigata agli ordini del generale Alessandro Asinari di San Marzano, il 16 novembre 1887, Giuseppe Galliano si aggregò come volontario e fu destinato a comandare una compagnia del 13° Battaglione Fanteria. I due eserciti in questo periodo non vennero mai a battaglia, anzi il Negus, con le truppe colpite da forti epidemie e mal equipaggiate si ritirò sugli altipiani ai confini col Sudan consentendo di fatto un’ulteriore espansione italiana nei territori interni. L’Italia ritirò quindi il grosso del suo esercito coloniale e nell’aprile del 1888 Galliano fu di nuovo in patria. Alla morte del Negus Giovanni IV, nel 1889, la corona dell’impero d’Etiopia passò a Menelich, con il quale l’Italia stipulò il trattato di Uccialli che poneva l’Abissinia sotto il suo protettorato. Il 1° gennaio 1890 venne creata la Colonia di Eritrea e gli instabili avvenimenti che ne seguirono attirarono nuovamente Galliano che il 1° giugno del medesimo anno ottenne di esservi trasferito ed assegnato al Reggimento Cacciatori d‘Africa. Dopo una breve licenza in Italia, nell’estate del 1892, ritornò in Africa e venne insediato al comando del 3° Battaglione di Fanteria Indigena, i famosi Ascari, con i quali si distinse nella battaglia di Agordat del 21 dicembre 1893 contro i Dervisci del Sudan che minacciavano l’invasione della Colonia Eritrea.
Questo episodio gli valse il conferimento della medaglia d’oro al valor militare. Il combattimento di Agordat ottenne una grande risonanza anche in Italia, dove Galliano fu presto elevato al rango di eroe.
L’8 marzo 1894 venne promosso maggiore e fu di nuovo a casa per una breve licenza che trascorse a Ceva e nella tenuta di famiglia a Mombarcaro. Tornò in Africa in tempo per partecipare agli scontri per tentare di sedare una rivolta fomentata da Ras Mangascià della provincia del Tigrai, che avrebbe però portato alla guerra aperta con l’Abissinia di Menelich. Le truppe italiane comandate dal generale Baratieri riportarono vittorie a Coatit e Senafè nel gennaio 1895.
A Galliano per gli atti di valore dimostrati a Coatit venne assegnata una medaglia d’Argento al Valor Militare.
Per tutto l’anno si andò avanti con perlustrazioni, combattimenti d’avanguardia, inseguimenti all’esercito tigrino di Ras Mangascià, ma l’Abissinia intera era ormai in guerra contro gli italiani. Il 7 dicembre un’avanguardia di trentamila uomini, comandata da Ras Maconnen, ad Amba Alagi distrusse il distaccamento del maggiore Toselli e dopo un paio di settimane si giunse all’evento che forse più di ogni altro esaltò la figura di Giuseppe Galliano: la difesa del forte di Enda Yesus a Macallè per consentire alle compagnie del generale Arimondi, da cui il suo battaglione dipendeva, di ripiegare verso Adigrat. Con poco più di 1.300 uomini tra soldati italiani ed ascari, disponendo di pochi pezzi di artiglieria, con scarsità di viveri e difficoltà a procurarsi acqua, resistette per oltre un mese agli assalti dei 30.000 uomini comandati da Ras Maconnen, a cui dal 6 gennaio 1896 se ne aggiunsero altri 100.000 con alla testa l’Imperatore Menelich in persona. L’assedio terminò il 22 gennaio, avendo il generale Baratieri concordato la resa con il Negus. I superstiti poterono così abbandonare il forte con l’onore delle armi.
Per questa ulteriore impresa Galliano venne promosso tenente-colonnello e decorato con una nuova medaglia d’argento.
Il destino di Galliano doveva però compiersi nella famosa ed infausta battaglia di Adua o Abba Garima, allorché Baratieri, disponendo di soli 16.000 uomini, senza attendere i rinforzi che stavano giungendo dall’Italia, decise di attaccare un nemico almeno sei volte superiore di numero. Galliano al comando del 3° Battaglione Indigeni occupò le posizioni sul monte Rajo, però fu fatto prigioniero il 1° marzo 1896. Per ordine del negus Menelik fu fucilato e il suo corpo non venne restituito.
Alla sua memoria fu conferita una seconda medaglia d'oro al valor militare. La disfatta dell’esercito italiano fu totale ed interruppe per molti anni le ambizioni coloniali nel Corno d’Africa.

Altre onorificenze che furono assegnate a Giuseppe Galliano furono quelle del cavalierato dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e del cavalierato dell’Ordine della Corona d’Italia.

Particolarmente significative sono le parole con cui concludeva una lettera inviata al sindaco di Ceva, datata 11 febbraio 1896, un paio di settimane prima della disfatta di Adua: “... la mia diletta Ceva; che se non mi vide nascere, contiene in sé tutto quanto ho più caro, la memoria dei miei genitori, gli affetti di famiglia, la speranza di finirvi i miei giorni.”

A lui sono state dedicate vie e piazze in tante città e paesi d’Italia, a Vicoforte vi è un bel monumento, a Roma in un’aiuola di via Lepanto un suo busto bronzeo è collocato su una colonna di marmo, dirimpetto a quello di un altro protagonista piemontese delle guerre d’Abissinia il maggiore Pietro Toselli. A Mondovì porta il suo nome la Caserma di Piazza, già occupata dagli Alpini e poi dagli allievi della Guardia di Finanza.

A Ceva gli venne intitolata la Caserma degli Alpini, ora sede del Centro di formazione del Corpo Forestale dello Stato, mentre un imponente monumento in bronzo collocato su un basamento di granito è posto nella piazza, allestita a giardino, a lui dedicata in località Brolio. Il monumento, opera dello scultore torinese Giuseppe Cerini fu inaugurato, con eclatanti manifestazioni, il 17 settembre 1899 alla presenza di autorità politiche, civili e militari di livello nazionale e locale, associazioni operaie ed agricole del Piemonte e della Liguria e soprattutto di ufficiali e militi superstiti di Macallè. Onoranze, attestazioni di partecipazione e medaglie appositamente coniate giunsero anche da associazioni e gruppi di piemontesi, tra cui diversi cebani, immigrati in Argentina ed Uruguay. Il nome di Galliano fu dato anche alle Scuole elementari la cui nuova sede venne edificata negli anni 1935 e 1936. Numerosi suoi documenti e cimeli, tra cui un lembo della bandiera che sventolò a Macallè durante l’assedio, sono esposti nel Museo storico cittadino.

Nei giorni 1 e 2 marzo 1996 a Ceva, organizzate da Comune, sezione A.N.A. e Pro Loco, si tennero conferenze, mostre, cortei e cerimonie religiose per la commemorazione del centenario della morte dell’eroico concittadino.

Le sue vicende e quelle del suo battaglione sono narrate in un’infinità di testi e pubblicazioni, di articoli di quotidiani e riviste, che hanno trattato della politica coloniale italiana in Africa alla fine dell’Ottocento. Specificatamente su di lui sono stati editi libri dei seguenti autori: Carlo Buttini, Tancredi Galimberti, Pietro Gerardo Jansen, Francesco Lemmi, Aldo Martini, Guido Moltedo, Gustavo Prandi, Gian Carlo Stella.
In suo onore furono composte: una canzone amarica trascritta dal tenente medico Nicola D’Amato, una fantasia amarica e tigrina, un’ode del poeta e critico musicale Enrico Panzacchi e la famosa ode “Ciapin” di Giovanni Pascoli.

La sua figura oggigiorno è ricordata anche in modo commerciale. Arturo Vaccari, titolare di una distilleria livornese, mosso da grande ammirazione per le gesta dell’eroe d’Abissinia, nell’anno in cui cadde nella battaglia di Adua, volle dare il suo nome ad un liquore digestivo di sua invenzione ottenuto dall’infusione e distillazione di oltre trenta erbe, spezie ed estratti di piante. Oggi la distilleria Vaccari non esiste più, ma la Lucas Bols di Amsterdam, attuale proprietaria del marchio, continua a produrlo con la formula originaria e nella storica bottiglia a forma piramidale. In Italia è poco conosciuto, mentre è molto apprezzato all’estero e fu persino citato dallo scrittore Emilio Salgari nel racconto Lo Schiavo della Somalia e dallo statunitense John Fante in Full of Life.