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Ultimo nato di Agamennone, marchese di Ceva e signore di Sale, Priero e Castelnuovo.
Entrò nei cappuccini di S. Barnaba a porta Carbonara di Genova e prese il nome di fra Arcangelo.
Prima di prendere i voti fece testamento (13 giugno 1601, rogato Giulio Romoirone) e dispose del suo patrimonio nel modo seguente:
Lasciò alla comunità di Sale una cascina detta Gamellona, con l’obbligo di dire una messa quotidiana perpetua di fronte all’altare di san Sebastiano nella cappella di San Siro. Vi doveva essere un prete e coi soldi che rimanevano dalla rendita si doveva pagare un maestro. Se la comunità di Sale non adempiva alle sue volontà, entro due anni dalla sua morte, il lascito passava al monastero della Madonna Santissima di Grazia di Ceva.
Legò un censo alla Madonna della Guardia di Ceva.
Nominanò suo esecutore Roberto Ceva, protonotario apostolico.
Fece altri legati per oltre 5.600 scudi d’oro a chiese, a parenti e ad amici.
Il resto dei suoi beni mobili ed immobili, feudali, rusticali ed allodiali, ragioni ed attioni utili, dirette reali e personali, miste persecutorie, ipotecarie e penali, li donò alla Madonna SS. del Mondovì di Vico.
Coi redditi ricavati da quest’eredità volle che si mantenessero gli orfani nell’ospedale, costituendo fideicommissari e esecutori per quest’opera.
Volle che gli orfani di Ceva, Sale, Priero, Castelnuovo e della sua casata di Ceva che erano poveri fossero anteposti a tutti altri.
Donò: la sua parte della giurisdizione di Ceva e del molino Lezza, pedaggio con il sito che è nel castello di questo luogo; più la sua parte della giurisdizione di Priero con i suoi molini, pedaggio, censo feudale ed il bosco; libri di suo padre; la sua parte della giurisdizione di Sale, con il suo molino, censo feudale, pedaggio, roide, decime; due enfiteusi, l’uno di due stara di grano, l’altro di due stari di vino; la sua parte della massaria della Braida e della Bandita; la sua parte della giurisdizione di Castelnuovo, con suo molino, censo, pedaggio, il reddito delle mole; il Castello di Sale; il sito nel castello di Priero; il sito nel castello di Castelnuovo; il sito dello stalazzo con alcuni pezzi di terra ivi attinenti. I beni allodiali e rusticali erano: la possessione del Prileto, quello del Mateto, e prato di Canile. La possessione della Bierda, con li alteni di Canile, Ponzani, casa fredda e suo bosco, e il campo di pra di Pizzo. Il giardino grande e quello delle rive con gli orti del pozatello, o rochi e mori. La casa degli allechi. La stalla grande. La colombara, con quella stanza ivi vicina ove si poneva il grano della decima. Le case ove si tenevano le legna attaccate al castello, e all’orto dei mori, quali beni sono posti in Sale, nel ricetto.
Erano escluse dal testamento la porzione della Chiusa che fu venduta da suo padre a Giovanni Battista di Savoia.
Copia di questo testamento fu estratta dal Regio Archivio dei notai di Genova (20 luglio 1649), dall’archivista Giuseppe Onofrio Rapallo a richiesta di monsignor Fra Tommaso Ghilardi Vescovo di Mondovì.
Quest’eredità non fu sufficiente ad aprire un ricovero per gli orfani di entrambe i sessi e si optò solo per quello maschile, questi non dovevano avere più di 12 anni e facevano elementari poi seconda grammatica ed erano seguiti da un superiore ecclesiastico e da chierici nel santuario della Madonna SS. di Vico.
Erano ammessi a goder di questo benefizio gli orfani di Ceva, di Sale, di Priero e di Castelnuovo a misura che si fanno posti vacanti in quel piccolo seminario, monumento perenne della pietà e generosità di quest’insigne benefattore marchese Alberto Ceva.
Questo piccolo seminario ebbe anche un altro benefattore: il monregalese Giovanni Bernardino Cordero che ne aumentò il reddito nel 1670, a beneficio dei poveri orfani della sua città.