Logo

Collegamenti esterni




Facebook Seguici anche su Facebook!

Cronologia della Storia di Ceva

Forte di Ceva
Vista del Forte di Ceva dalle alture verso Torresina.

La zona di Ceva fu abitata nell'antichità da vari popoli e tribù: Liguri, Bagienni, Ingauni, Stazielli, Galli Cispadani ecc.. L'assoggettamento ai Romani, avvenne sul principio del II secolo a. C. e di ciò si hanno notizie da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (libro XI cap. 97) che parla del formaggio locale (caseo ... Cebanum ... ovium maxime lactis ...) e da Columella che cita una particolare razza bovina denominata Ceva (... regionis incolae Cevas appellant ...) nel De re rustica (libro VI cap. 24). Ceva probabilmente non fu mai un Municipio Romano poiché gli abitanti di questi posti erano annoverati nella tribù Publilia, sotto la giurisdizione di Albenga (Albingaunum). Dell'epoca romana di Ceva è rimasto soltanto il nome, in quanto le invasioni  dei barbari e poi quelle dei saraceni hanno distrutto questa zona ed ogni genere di vestigia e documenti scritti.

Nell'XI secolo alcune carte degli Arduinici ascrivevano Ceva nella loro marca. Nel medioevo fu la sede di un marchesato aleramico fondato da Anselmo II, figlio di Bonifacio del Vasto. Inizialmente i Ceva furono feudatari di oltre quaranta borghi, molti dei quali con castello. Il marchesato ebbe i momenti più floridi dal XII al XIV secolo, periodo in cui Giorgio II detto il Nano, dopo aver conquistato Mondovì per il Vescovo d'Asti, dovette cedergli il marchesato stesso per poi esserne reinvestito. Ceva passò in seguito ai Visconti nel 1351 e agli Orléans nel 1387. Dal 1422 fu assoggettata al dominio di Milano, a quello della Francia e poi della Spagna, finché nel 1559 i Savoia ne entrarono in possesso. I marchesi Ceva vennero destituiti e fu insignito del marchesato Giulio Cesare Pallavicino.

Ceva per molto tempo fu difesa da una Fortezza, baluardo militare dello Stato Sabaudo, in posizione strategica sulla Rocca. Durante la prima campagna napoleonica d'Italia, il generale Francesco Bruno di Tornaforte, governatore del Forte, resistette alle milizie di Bonaparte e si arrese solo dopo l'armistizio di Cherasco, per effetto del quale anche Ceva passava ai Francesi. Questi furono cacciati da un'insurrezione popolare nel maggio del 1799. Napoleone, nel 1800, ordinò di distruggere il Forte per l'affronto subito.

Alla fine dell'Ottocento il miglioramento del sistema stradale e la costruzione della rete ferroviaria favorirono lo sviluppo industriale, in particolar modo nel settore tessile (Cotonificio, filande e filatoi). Purtroppo la Grande Guerra portò ad una recessione del paese e molti cebani perirono al fronte. Durante la seconda guerra mondiale Ceva fu occupata dai tedeschi e bombardata dagli alleati. Anche questo conflitto chiese molti sacrifici alla gente del posto. Molti perirono o furono dispersi nella campagna di Russia. La Città seppe risollevarsi in fretta, con un'accentuata espansione urbanistica al di fuori della zona un tempo delimitata dalla cinta muraria. Divenne un polo artigianale, commerciale e di servizi di rilievo, incrementando la sua importanza come nodo del traffico viario di collegamento con la Liguria. Nei secoli, a causa della sua posizione geografica, fu più volte oggetto di eventi alluvionali. Nella memoria dei cittadini è ancora ben impressa l'alluvione del 1994 che arrecò molti danni.

Ceva, nonostante i periodi di difficoltà, le distruzioni ad opera dell'uomo o della natura e i periodi di crisi economica che spingono i giovani a cercare lavoro fuori dai suoi confini, continua comunque imperterrita ad andare avanti, accettando le sfide del XXI secolo.



Cronologia del XVIII secolo

Torna all'indice
  1. Nel 1706, il Forte e la città di Ceva si trovarono coinvolti nei fatti d’arme relativi alla Guerra di Successione Spagnola, durante la quale il duca di Savoia Vittorio Amedeo II era schierato con gli Asburgo e buona parte degli altri stati europei contro l’alleanza franco-spagnola. Nell’ambito degli eventi collegati al famoso assedio di Torino, diverse furono le azioni belliche che si svolsero nel cebano e numerosi uomini di questi territori furono arruolati nelle milizie sabaude. Un assedio di alcuni mesi fu portato al Forte di Ceva da un’armata di 5.000 spagnoli, comandata dal conte di Sartirana.

  2. Gli avvenimenti guerreschi nella zona di Ceva, durante i quali al comando delle truppe dei Savoia ivi dislocate si distinse la figura di Carlo Francesco delle Lanze conte di Sales, si protrassero fino al mese di settembre quando i piemontesi, sotto la guida del principe Eugenio, del duca Vittorio Amedeo II e grazie all’eroico sacrificio di Pietro Micca, posero fine all’assedio di Torino sbaragliando l’esercito francese e costringendolo ad una precipitosa ritirata.

  3. Nel 1712, nel sobborgo di Ceva allora chiamato di Santa Croce, venne portata a termine la riedificazione della chiesa dei Cappuccini, iniziata nel 1709, dopo aver demolito, alla fine del secolo precedente, gran parte della primitiva chiesa, eretta tra il 1577 ed il 1582, ormai fatiscente e minacciante rovina.

  4. Nel 1719, con testamento rogato dal notaio G.B. Melissano di Saliceto, il sacerdote Giovanni Agostino Borgognone di Ceva donò il suo patrimonio al Municipio, con l’obbligo di fondare un Collegio in cui si provvedesse all’insegnamento della grammatica, dell’umanità e della retorica. Successivamente, nel 1731, Carlo Emanuele III di Savoia dispose l’ assegnazione al Municipio di un sussidio annuo di L. 1.050 affinché si potesse integrare il lascito Borgognone ed istituire in aggiunta le classi di filosofia. Il contributo delle regie finanze fu mantenuto fino al 1762.

  5. Il 20 maggio 1720, a seguito del trattato dell'Aia con il quale la Sardegna veniva assegnata ai Savoia, Filippo Guglielmo Pallavicino dei marchesi delle Frabose e di Ceva, chiamato anche barone di Saint Remy, venne nominato, dal re Vittorio Amedeo II, vicerè della Sardegna. Mantenne questo incarico per due periodi, dal 1720 al 1723 e dal 1726 al 1727.

  6. Nel 1724 i frati cappuccini realizzarono un’importante opera per l’irrigazione dei campi, orti e giardini attigui al loro convento costruendo un canale lungo più di venti trabucchi (circa 62 metri), sostenuto da un complesso di arcate, che attingeva l’acqua dalla riva della località detta Ostero, alla sinistra del torrente Cevetta.

  7. Nel 1731 Anna Teresa Carlotta Canalis di Cumiana, contessa di San Sebastiano, marchesa di Spigno, moglie morganatica di Vittorio Amedeo II, venne imprigionata per alcuni mesi nel Forte di Ceva per ordine del figlio di questi, il regnante Carlo Emanuele III, in favore del quale il padre aveva abdicato l’anno precedente. A pparentemente la ragione fu quella di aver istigato l’ex sovrano, già ammalato, ad annullare l’atto di abdicazione per ritornare sul trono sabaudo.

  8. Il 18 Novembre 1737 la chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina venne consacrata. Edificata sulla piazza principale della città, su progetto iniziale del 1680 del celebre architetto modenese Guarino Guarini, dopo vari decenni di interruzione l’opera fu nuovamente progettata e portata a termine dall’architetto monregalese Francesco Gallo.

  9. Nel 1738 venne trasferito nelle prigioni del Forte dalle carceri di Torino Pietro Giannone, storico, filosofo e giurista di origini pugliesi, importante rappresentante dell’Illuminismo italiano, condannato per le sue opere letterarie di marcata tendenza anticlericale. Vi rimase sino al 1744 ed in questo periodo scrisse alcuni dei suoi più celebri componimenti. Di nuovo tradotto nelle prigioni del mastio della Cittadella di Torino vi morì nel marzo del 1748.

  10. Dal 1739 si registrò una sorta di evoluzione in termini di assistenza sanitaria. Con gli interessi maturati dai capitali della Confreria dello Spirito Santo fu possibile stipendiare un medico ed un chirurgo che curassero gli ammalati del quartiere del borgo Sottano.

  11. Nel 1744 una straordinaria piena del torrente Cevetta recò gravi danni. Oltre ad abbattere uno dei pilastri e due arcate dell’acquedotto dei frati Cappuccini, danneggiò il ponte San Giovanni ed alcune case del borgo della Luna.

  12. Nel 1744-1745 altre vicende belliche interessarono il Forte, la Città e tutta l’Alta Val Tanaro per effetto della Campagna militare Gallo-Ispana condotta nel contesto della più ampia Guerra di Successione Austriaca (1740-1748) che coinvolse quasi tutte le potenze europee. Le truppe d’invasione erano comandate dall’infante Filippo di Spagna e dal maresciallo francese Jaen Baptiste de Maillebois e percorrevano la costiera occidentale per inoltrarsi nell’Italia settentrionale. Secondo alcuni storici una parte di queste milizie, attraverso l’Alta Val Tanaro, giunse fino a Ceva, assediando la fortezza, secondo altri fu affrontata e sconfitta in campo aperto dal corpo piemontese del barone Wilhelm von Leutrum (in dialetto nostrano noto come Baron Litron).

  13. Nel 1763, mentre era parroco Michele Marazzani, furono portati a compimento i lavori di ampliamento del Duomo, iniziati tre anni prima su progetto dell’ingegner don Giuseppe Trona di Mondovì che aveva previsto l’aggiunta di una cappella per lato in senso longitudinale ed il completo rifacimento della facciata.

  14. Nel 1773, con patente regia, Carlo Emanuele III, riconosce a Ceva il titolo di Città con tutti gli onori, diritti e prerogative che ne convengono. Il riconoscimento, già attribuito da altri sovrani sabaudi nel secolo precedente, viene tuttavia riaffermato dal re in carica ed il relativo testo termina con le seguenti parole: “… avuto il parere del nostro Consiglio creiamo, costituiamo e stabiliamo il comune, luogo e territorio di Ceva in Città, volendo che d’or in avvenire debba sempre essere trattato, reputato e denominato col titolo di Città...” (Firmato Carlo Emanuele III, re di Piemonte e Sardegna).

  15. Il 21 Marzo 1775, Vittorio Amedeo III stabilì, con suo decreto, che si costruisse una strada che, partendo da Narzole ed attraversato il Tanaro salisse a Murazzano e si congiungesse a Montezemolo con la strada n azionale che dal Piemonte arrivava a Savona attraverso Ceva. La strada venne chiamata Strada delle Alte Langhe o della Riviera.

  16. Il 17 Dicembre 1779, a seguito del testamento del cavalier Francesco Amedeo Derossi e coi beni che legò suo fratello, monsignor Giuseppe Tommaso vescovo di Alessandria, fu fondato l’Orfanotrofio che divenne, nel 1786, Ospizio di Carità e chiamato Istituto Derossi a memoria dei due fondatori. Al principio ebbe la sua sede in una casa del borgo Sottano, poi si trasferì nel dismesso convento dei Cappuccini e nel 1816 trovò la sua definitiva collocazione nella casa dell’avvocato Greborio nella contrada Valgelata.

  17. Il 1° febbraio 1786, stante la perdurante difficoltà che presentava la promiscua amministrazione dell’Oratorio dell’Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina e dell’annesso Ospedale, con rogito Bottalla, se ne stabilì la separazione creando due amministrazioni indipendenti. L’Ospedale degli Infermi mantenne il titolo di Santa Maria e Santa Caterina, a ricordo delle due confraternite che insieme lo crearono e gestirono per tanti anni.

  18. Il 24 luglio dello stesso anno, alla presenza di monsignor Giuseppe Maria Langosco di Stroppiana vescovo di Alba e di monsignor Giuseppe Anton Maria Corte vescovo di Mondovì, venne celebrata la solenne festa per la traslazione del sacro corpo di San Clemente martire, posto in un’urna di legno dorato costruita a Roma e posto all’interno della chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina.

  19. Nel 1789, su progetto dell’ingegnere cebano Giuseppe Davico fu costruito l’abside del Duomo. Le spese furono sostenute quasi totalmente dall’abate Alessandro Rovelli che già era stato munifico donatore dell’ancona del Conca rappresentante la Sacra Famiglia e finanziatore della realizzazione dell’altare maggiore.

  20. Il canonico Celestino Ceva di Lesegno, insigne benefattore della collegiata, dove servi in qualità di penitenziere per 55 anni, fece restaurare nel 1793 una parte della chiesa di Sant’Andrea, il più antico edificio religioso cebano di cui si ha memoria che era unito all’omonima cascina.

  21. La Rivoluzione Francese e gli eventi susseguenti rimisero in armi l’Europa. Vittorio Amedeo III, rifiutando la condizione di neutralità richiestagli dai francesi si schierò dalla parte dell’Austria. Prospettandosi quindi nuovamente un‘invasione delle armate di oltre Alpe, in aggiunta alla guarnigione già presente nel Forte, furono molto numerose le soldatesche che si stanziarono a Ceva, appartenenti sia all’esercito piemontese che agli alleati. Queste furono portatrici di gravi epidemie tanto che nel 1794 e nel 1795 il tasso di mortalità, anche tra i civili, fu quasi triplicato rispetto agli anni precedenti. Questa fu forse la ragione per cui al borgo di Santa Croce, detto della Luna, in quei tempi non ancora molto urbanizzato, la nuova casa Beltrami (che dopo diversi ripristini sarebbe diventata un secolo più tardi la sede del Banco di Credito Azzoaglio), servì ad uso di ospedale militare. Dal 1794 al 1796 si poterono ricoverare in essa fino a 110 malati per volta, appartenenti alle milizie austriache e sarde. In seguito, fu utilizzata come caserma dai soldati francesi durante il loro periodo di occupazione del territorio piemontese dopo l’invasione del 1796.

  22. L’invasione del regno di Sardegna da parte delle truppe rivoluzionarie ebbe inizio nel settembre del 1792 con i primi scontri al di là delle Alpi, nei territori del Nizzardo e della Savoia e proseguì, con alterne vicende, anche l’anno successivo. Nel 1794 cambiarono i programmi del Direttorio, questi prevedevano la penetrazione in Piemonte attraverso l’Alta Val Tanaro con il conseguente assedio del Forte di Ceva, che era considerato il punto d’appoggio fondamentale attorno al quale concentrare le strategie difensive anche dal comandante dell’esercito piemontese generale Michele Colli-Marchini. Intanto, con l’ispirazione ai movimenti giacobini e girondini francesi, si erano sviluppate anche in Piemonte, tra il popolo oppresso dalle gravose tasse imposte dai Savoia, concezioni di intransigente repubblicanesimo. Questo non facilitò la predisposizione dei piani e delle azioni di difesa ad un esercito sfiduciato, logorato da tre anni di guerra e non supportato nei modi più opportuni dagli alleati austriaci sotto la guida del generale Jean Pierre de Beaulieu.

  23. Nella primavera del 1794, le truppe francesi comandate dal generale Massena, dopo aver occupato il forte di Ormea, scesero in Val Tanaro spingendosi verso Ceva senza potersi tuttavia avvicinare. Non mancarono però scorrerie e rappresaglie per tutto l’anno nella valle ed il rafforzamento dei posizionamenti sulle alture vicine.

  24. Alla fine del 1795, dopo varie operazioni di riassetto e spostamento di truppe, a seguito della vittoriosa battaglia di Loano i francesi giunsero nei pressi di Ceva risalendo la Valle Bormida, ma non era ancora nelle loro mire dare l’assalto al Forte e, fermati in Val Tanaro a Nucetto e sulle colline di Perlo, furono costretti a ritirarsi nei campi invernali di Garessio ed Ormea.

  25. Nei primi giorni di Aprile del 1796 la ripresa dell’offensiva francese si intuì imminente. L’esercito transalpino poteva disporre di circa 65.000 uomini avendo contro non più di 25.000 piemontesi, poco più della metà dell’intero esercito sabaudo, essendo gli altri schierati su altre postazioni dell’arco alpino o nelle retrovie a protezione della capitale. Le truppe austriache alleate erano composte da circa 40.000 effettivi, ma sul fronte degli incombenti scontri non se ne contavano più della metà. Gli altri erano ancora acquartierati nei campi invernali della pianura Padana. Il Direttorio aveva appena posto a capo dell’Armée il giovane generale Napoleone Bonaparte in sostituzione del generale Schérer. Il piano di Napoleone era quello già progettato dai francesi, ma non realizzato nella campagna del 1744-45, cioè di sfondare al centro per separare i due eserciti e combatterli separatamente.

  26. Nella primavera del 1796, oltre l’incombere dell’invasione francese, si verificò un’altra inondazione del Tanaro, che allagò tutta la pianura del Brolio, sradicando e trascinando via alberi, devastando le coltivazioni e causando la perdita di una grande q uantità di bestiame.

  27. Il Forte di Ceva, da un paio d’anni sotto il comando dell’anziano valoroso governatore Francesco Bruno di Tornafort, costituiva l’argine principale attorno al quale concentrare tutte le operazioni di difesa e a tal proposito si operarono massicci interventi. Infatti, con le direttive del generale Eugen D’Argenteau, si costruì un eccezionale campo trincerato intorno alla fortezza e lungo tutta la dorsale delle alture fin oltre la Pedaggera, andando a costituire un formidabile baluardo contro qualsiasi tentativo di assalto da parte nemica.

  28. L’avanzata dei francesi fu rapida e cruenta e nel giro di appena cinque giorni, dall’11 al 15 di aprile, combattendo su più fronti e riportando vittorie negli scontri di Monte Negino, Montenotte, San Giovanni di Murialdo, Cosseria, Dego, Millesimo, si era già realizzata la prima parte del disegno di Napoleone, cioè la quasi separazione dei due eserciti avversari. Il generale Colli nella notte tra il 14 e 15 aprile aveva abbandonato le alture di Montezemolo, lasciando solo una piccola retroguardia e concentrando tutte le sue truppe nei campi trincerati di Ceva e della Pedaggera.

  29. La Battaglia di Ceva e della Pedaggera si combatté il 16 aprile e fu un reale successo dei piemontesi (reparti Brempt, De Portier, Colli, Ghilini, Vitale, Bellegarde, Pallavicino, Stettler, Andezeno) che per tutta la giornata respinsero gli attacchi delle varie brigate francesi (Beyerand, Joubert, Rusca, Fiorella) su tutta la linea di difesa costringendole a ritirarsi oltre il torrente Bovina. Gli invasori passarono la notte sul sistema collinare che da Paroldo va verso Sale, pronti a riprendere gli assalti il mattino successivo, rinforzati da altre truppe della divisione Sérurier, che intanto era scesa dall’Alta Val Tanaro.

  30. Inaspettatamente però, nonostante il buon esito degli scontri del giorno precedente, nella notte tra il 16 ed il 17 aprile, il generale Colli ordinò l’evacuazione del campo trincerato facendo ritirare le sue truppe verso San Michele e andò ad occupare celermente le posizioni difensive della Bicocca. Le ragioni furono dovute all’inquietudine che si era impossessata del comandante dell’esercito piemontese, circondato da uno stuolo di pavidi subalterni, scettico ormai sull’aiuto che gli potevano fornire gli austriaci, timoroso che altri reparti, delle divisioni dei generali Massena e La Harpe, attardati dal combattimento di Dego, potessero quanto prima arrivare aggirandolo sulla sinistra.

  31. Questa manovra consentì ai francesi di avanzare senza molti problemi ed attraversare il torrente Corsaglia. Restava il Forte di Ceva che grazie al conte di Tornafort continuava a resistere. A nulla erano valsi messaggi di intimazione alla resa inviatigli dal generale Fiorella e dal generale Augerau tra il 17 ed il 18 aprile. Il Tornafort li aveva fieramente respinti impegnandosi però a non sparare sulle truppe occupanti, poiché non avrebbe ritardato di molto l’avanzata francese, ma avrebbe arrecato danni enormi alla città ed ai suoi abitanti.

  32. Il primo a giungere in città fu il generale Rusca, che la mattina del 17 aprile si era attestato sull’altipiano di Soraglia, dietro le mura del Campanone, al riparo dai colpi di cannone che gli arrivavano dalla fortezza. Il generale Rusca, originario di Briga Marittima, prima di arruolarsi nell’esercito francese era un medico ed era già stato altre volte per i suoi affari a Ceva, dove poteva contare diversi conoscenti. Questo favorì le trattative che condusse con la municipalità per il vettovagliamento delle sue truppe e l’esborso di 8000 franchi. In tal modo fu evitato il saccheggio della città ed i francesi osservarono la rigida disciplina imposta dal loro comandante. Anch’egli tentò di costringere il Forte alla resa, ma inutilmente quindi proseguì per San Michele.

  33. Napoleone Bonaparte arrivò a Ceva nella tarda mattinata del 20 aprile, mettendo per la prima volta in atto un assetto di sfilamento trionfale del suo stato maggiore che avrebbe poi sempre ripetuto in ogni città conquistata. Percorse tutta la via delle Volte sino al Duomo, poi pranzò presso l’albergo di Domenico Francolino. Con il capo di stato maggiore generale Berthier ed il commissario generale Saliceti convenne che era inutile e troppo dispendiosa un’azione militare contro il Forte, stante che il grosso dell’esercito era già vittoriosamente passato oltre e dopo la battaglia di san Michele era in procinto di attaccare Mondovì. Convocata la civica amministrazione, ordinò all’attuario Sito che si provvedesse per la contribuzione di guerra dovuta dalla città. Il Sito, rammentando i già corposi tributi a cui fu soggetta da parte francese la comunità nei giorni precedenti, riuscì ad ottenere dal generale una riduzione delle pretese.

  34. Mentre era ospite dell’avvocato Moretti, affacciatosi da un balcone, Napoleone scorse il castello dei Pallavicino, vi si recò ed il marchese Cosimo Damiano lo accolse e vi passò probabilmente la notte, proseguendo in seguito per Lesegno dove aveva stabilito il quartier generale.

  35. Dopo la ritirata dalla Pedaggera e le battaglie di San Michele e di Mondovì, l’esercito piemontese era praticamente in disfatta ed ai francesi si era aperta la via del Piemonte. Il re fu costretto a chiedere una tregua per scongiurare la devastazione delle principali città della parte meridionale della regione e della stessa Torino. L’armistizio fu siglato a Cherasco la mattina del 28 aprile. Di conseguenza il giorno dopo giunse il dispaccio di Napoleone al conte di Tornafort che recava l’ordine di Vittorio Amedeo III di consegnare il Forte ai francesi nella persona del generale Miollis, c he fu pure destinato a comandare la città, sistemandosi in casa Pallavicino. La guarnigione ebbe la facoltà di abbandonare il presidio a bandiere spiegate, con l’onore delle armi, dirigendosi verso Bra, come era stato prescritto.

  36. Il conte Vincenzo Bruno di Tornafort, aiutante di campo del Governatore suo padre, fece trasportare nel Duomo la preziosa statua dell’Addolorata, dalla cappella del Forte, per preservarla da eventuali oltraggi che avrebbe potuto subire dai francesi che si accingevano ad insediarsi nella fortezza.

  37. Il 20 Settembre 1796 venne istituita la Compagnia dell’Addolorata a perenne venerazione del simulacro.

  38. Nel 1796, con l’amministrazione da parte della Francia dei territori occupati, viene ad estinguersi quella forma di suddivisione giurisdizionale del marchesato di Ceva che fin dal 1457 aveva portato alla costituzione di 12 Capitanati o Donzeni.

  39. I due anni che seguirono furono di estrema desolazione per la città occupata. Si susseguivano da parte dei francesi imposizioni e saccheggi, anche nelle c ampagne intorno e non si esitava a compiere ruberie ed atti sacrileghi anche in cappelle e chiese.

  40. Con Regie Patenti del 13 Marzo 1798 venne decretata la soppressione del convento degli Agostiniani e messe in vendita le cascine di sua proprietà.

  41. 1799, nel mese di maggio, anche prestando credito alle voci che circolavano circa il sopraggiungere di una grande armata di austro-russi per cacciare i francesi dalle terre del Piemonte, si organizzò un corpo di ardimentosi volontari provenienti dalle terre del cebano che era comandato dal capitano Francolino di Castellino, dal chirurgo Cerrina di Murazzano e dal signor Galliano di Sale. Costoro costrinsero alla resa il comandante francese Maris impossessandosi del Forte, un po’ con le armi e un po’ con l’astuzia. Alcuni giorni dopo, di concerto con i rivoltosi, venne inviata dal comando russo di Alessandria una guarnigione militare a presidio del Forte, della quale facevano parte anche ex artiglieri dell’esercito piemontese. Furono intraprese opere di manutenzione e di rafforzamento delle difese, anche con l’aiuto di molti cittadini di Ceva per prepararsi ad una controffensiva francese. Questa non tardò ad arrivare, al c omando del generale Grouchi, che stabilì le sue artiglierie in cima al borgo della Torretta, vicino alla cascina di sant’Andrea. Dopo un vicendevole scambio di cannoneggiamenti ed intimazione di resa da parte dei francesi, sistematicamente respinte dagli occupanti la fortezza, quelli, ritenuto vano ogni tentativo, si allontanarono dalla città. Altrettanto inutile fu il minaccioso proclama fatto pervenire poco dopo dal generale Moreau nuovo comandante in capo dell’armata francese in Italia.

  42. A inizio luglio, una legione di prigionieri francesi al cui seguito vi erano anche donne e bambini giunse a Ceva, proveniente da Ferrara e diretta a Savona per congiungersi con l’armata repubblicana, munita di un ricco bagaglio che nella notte fu depositato nella chiesa di San Giovanni. La notizia si sparse rapidamente, il giorno successivo i francesi ripartirono da Ceva, ma un’orda di briganti lì assalì e depredò, trucidandone parecchi, nella valletta del Cevetta poco fuori dell’abitato di Priero all’inizio della salita verso Montezemolo. Nello stesso giorno buona parte del bottino venne messo in vendita dagli aggressori in una sorta di mercato che passò alla storia come un fatto esecrabile, tristemente noto come La Fiera di Priero.

  43. Negli ultimi mesi del 1799 più volte soldatesche francesi di passaggio tentarono di i mpadronirsi di Ceva cercando di forzarne le porte, ma corpi di volontari composti quasi esclusivamente da cittadini li respinsero coraggiosamente, procurando loro numerose perdite, anche con l’aiuto dell’artiglieria del Forte dove erano insediati gli austriaci del comandante Schmelzem.