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L'associazione Ceva nella Storia è lieta di annunciare l’uscita dell'ultimo libro di uno dei suoi soci fondatori, il Generale e Senatore della Repubblica, Luigi Manfredi.
Il Generale Manfredi, appassionato ed esperto di storiografia napoleonica, ha affrontato un tema importante, ma quasi sconosciuto, che riguarda l’operato da Statista di Napoleone, costruttore della Francia moderna con un forte influsso sugli Stati satelliti europei, tra i quali l’Italia. Il libro si può trovare presso la cartolibreria "La Matita" di Ceva.
Le riforme che avrebbero trasformato e modernizzato la Francia furono realizzate in soli 14 anni e permasero nel tempo oltre cent'anni e qualcuna si mantiene tuttora valida. Riguardarono, essenzialmente, la pacificazione politica, la pacificazione religiosa, la riorganizzazione amministrativa centrale e periferica, la rivoluzione dei codici penali, civili e del commercio, la riforma della giustizia, il riordino delle finanze e del sistema fiscale e il riordino dell’istruzione superiore.
"Ancora attualmente in Italia" sottolinea Manfredi "viviamo in una società in cui gli elementi fondamentali, sul modello francese, sono nati con Napoleone. Basti ricordare le Prefetture, la separazione fra giustizia penale e giustizia amministrativa, la struttura dei tribunali, in particolare l’articolazione in tribunali di prima istanza, d’appello e di cassazione, il Consiglio di Stato, la Banca d’Italia, la Corte dei Conti, per non citare che i più importanti."
Il titolo della prefazione, “Grande Armée e riforme civili, un binomio indissolubile”, mette in evidenza, secondo Manfredi che Napoleone non avrebbe potuto realizzare nessuna riforma se non fosse stato un Generale vittorioso fin dal momento in cui partecipò al Colpo di Stato di Brumaio e conquisto il potere assoluto. Questa fu la sua arma, non solo in senso metaforico, di cui si servì per imporre ciò che aveva in mente al fine di trasformare la Francia e gli Stati satelliti, in Stati moderni ed efficienti. Secondo Manfredi, senza la Grande Armée, Napoleone non avrebbe realizzato niente.
Una seconda fondamentale chiave di lettura dell’opera civile di Napoleone fu senza dubbio, ricorda Manfredi, la valorizzazione della meritocrazia. L’assunto è addirittura sintetizzato nel sottotitolo del libro “Dalla ghigliottina alla Legion d’Onore”. Fu la sua grande convinzione, quasi un’ossessione quella di avere un emblema principe della meritocrazia napoleonica, la Legion d’Onore, che fu un rivolgimento epocale e una mossa vincente.
Manfredi descrive i pregi, i difetti e le convinzioni di Bonaparte, uomo ambizioso, con una capacità di lavoro fuori dal comune e una perspicacia politica che configura una vera e propria moderna realpolitik. Nel libro sono in evidenza, altresì, i difetti, tra i quali la spregiudicatezza e l’autoritarismo, che contraddistinse tutta la sua attività e che molti storici definirono tirannia, ma che egli considerò come unica possibile via per realizzare quanto aveva programmato.
Il testo prende in esame le riforme promosse da Napoleone, prima fra tutte una nuova Costituzione, che gli consentì di gestire in prima persona il governo della Repubblica prima e dell'impero poi; il potere legislativo, il potere esecutivo, le forze dell’ordine, ecc. Molte di queste novità permangono tutt'ora nell'ordinamento italiano, tipo il sistema adottato alla base anche della organizzazione delle Forze di polizia in Italia, secondo il principio che “la maniera più efficace per mantenere la tranquillità di un Paese è una sorveglianza metà civile e metà militare estesa su tutta la superficie che fornisce i rapporti più precisi”. In altri termini Polizia e Carabinieri.
La riforma dell’Amministrazione, dove il provvedimento di assoluto rilievo fu la creazione dei Prefetti, la riforma della giustizia, dove eccelse quello che Bonaparte stesso considerò il maggior vanto della sua carriera, il celeberrimo Codice civile, la riforma delle finanze e quella dei culti, in particolare di quello cattolico, che ebbe validità per oltre cento anni. Non sono trascurate, infine, le altre riforme, tra le quali quelle della pubblica istruzione, del catasto, per l’industria e l’agricoltura, le grandi vie di comunicazioni e sui cimiteri.
L’opera riformatrice di Napoleone si è potuta concretare, chiarisce il Generale Manfredi, grazie alla coesistenza di tre fattori, che a un osservatore superficiale sembrerebbero non essere interdipendenti: la disponibilità di un potere militare senza eguali a quel tempo, l’insuccesso dei Governi rivoluzionari e, non ultima, la fortuna.
Il Manfredi conclude parafrasando il giudizio del duca di Wellington, vincitore a Waterloo, che definì Napoleone "il più grande Generale del suo tempo e forse il più grande Generale di tutti i tempi”, afferma l'autore, infatti, che se uno statista si valuta dalla valenza dei risultati ottenuti e dalla loro persistenza nel tempo, non sembra azzardato giudicare Napoleone anche “il più grande statista del suo tempo e forse di tutti i tempi”.