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Nel 1577, la nobildonna Eleonora della Rovere, vedova di Alfonso Spinola marchese di Garessio e Farigliano, acquistò delle terre nella parte orientale della città per farne dono ai padri Cappuccini della provincia monastica di Genova. Grazie all’apporto dei fedeli e della pubblica amministrazione, vi fondarono il loro convento con l’annessa chiesa, priva del campanile. I lavori furono portati a termine nel 1582.
L’opera dei frati fu da subito molto apprezzata dalla popolazione e ad essi furono affidate le predicazioni dell’Avvento e della Quaresima. Dopo poco tempo, la località dove era sorto il convento venne chiamata I Cappuccini.
Nel 1612 a causa di evidenti dissidi politici con la repubblica di Genova, il Duca Carlo Emanuele I di Savoia impose che non fossero più accettati nel convento monaci che non fossero suoi sudditi. Dopo oltre un secolo, la primitiva costruzione della chiesa minacciava rovina tant’è che fu quasi totalmente ripristinata tra il 1709 e il 1712.
Nel 1802, in seguito alla soppressione degli ordini religiosi durante il periodo di dominazione francese, il monastero fu chiuso e in esso fu trasferito l’orfanotrofio femminile che lo occupò fino al 1816, anno in cui vi poterono far ritorno i frati. Questi, tra le altre attività, prestarono la loro encomiabile opera nella gestione del lazzaretto durante le epidemie coleriche del 1835 e del 1855. A seguito della legge Siccardi, del 1866, vi fu la confisca dei beni ecclesiastici a cui seguì la soppressone degli ordini religiosi con una nuova chiusura del convento. L’amministrazione comunale avrebbe voluto realizzare nei locali dismessi l’Asilo Infantile, ma l’amministrazione ecclesiastica aveva già provveduto ad affittarli a privati, i fratelli Secco, che in seguito li acquistarono trasformando la parte monastica in magazzini, mentre la Chiesa venne utilizzata come cantina. Fu in questo periodo che la preziosa pala d’altare raffigurante la Deposizione, che era collocata nella primitiva cappella cinquecentesca, fu acquisita dalla parrocchia del Duomo, dov’è conservata tuttora, ma non esposta in quanto bisognosa di restauro.
Nel 1903 don Eugenio Michelotti, originario della frazione Poggi Santo Spirito, riscattò tutti i fabbricati del convento, grazie alle elargizioni raccolte dai cebani e alla collaborazione dell’allora arciprete del Duomo, il teologo Francesco Mauro. Si adoperò per il rifacimento della chiesa con una nuova facciata, quella che si vede ora, verosimilmente con linee architettoniche un po’ diverse da quelle che distinguevano la prima ricostruzione settecentesca. Il padre Michelotti faceva parte della congregazione degli Oratoriani di san Filippo Neri ed officiò la chiesa per alcuni anni con l’intenzione di formare a Ceva un’aggregazione di fratelli del suo Ordine, infatti la chiesa ed il convento per un po’ di tempo vennero chiamati dei Filippini. Questo non avvenne ed i padri Filippini decisero di rimettere nuovamente gli edifici religiosi ai Cappuccini che, in un primo tempo, vi trasferirono una loro piccola comunità profuga da Lione. Infine, nel 1912, dopo quarantacinque anni, poterono rientrare i cappuccini piemontesi. Questi vi rimasero esattamente un secolo, fino al 2012, dopodiché il loro numero si ridusse al punto che si dovette chiudere il convento, mantenendo però la messa domenicale e quella del mercoledì.
La facciata della chiesa attuale è composta da un corpo centrale che avanza lievemente tra i due corpi laterali provvisti di finestre. Il portale è sormontato da un affresco che riproduce lo stemma francescano e da un’ampia finestra arcuata a tutto sesto. Ai lati, due per parte, vi sono quattro pannelli dipinti a chiaroscuro che raffigurano episodi della vita di San Francesco, opere dell’artista torinese Achille Parachini(1888-1970): le conversazioni del Santo con gli uccelli, il Serafino che gli imprime le Sacre Stimmate, la Santa Vergine col Bambino che si intrattiene con lui, l’estasi del Poverello.
Il campanile è posto al fondo del corpo laterale, alla sinistra di chi guarda, presenta un’architettura che può essere definita un’interpretazione moderna, ancorché leggermente arbitraria, dello stile neo-romanico ed è stato innalzato nella prima decade del Novecento.
Davanti alla chiesa vi è un largo sagrato, cinto da muro e cancellata, raggiungibile sia da una rampa laterale che porta al portone del convento, sia da un’ampia scalinata. Al centro del medesimo è issata una grossa croce e un’altra è realizzata sul selciato di porfido. Sulla destra vi è la riproduzione della Grotta di Lourdes, con le statue dell’Immacolata e di santa Bernadette.
Questa ricostruzione dell’antro di Massabielle fu voluta e fatta realizzare dal padre Eugenio Michelotti al suo ritorno da un pellegrinaggio nel centro mariano dei Pirenei, nel 1915.
L’interno della chiesa, recentemente ritinteggiato completamente di bianco per conferirgli più luce, è a tre navate e quella centrale è molto più larga. Il presbiterio, della medesima larghezza della navata centrale, non termina ad abside, ma a parete piana, dietro la quale vi è il coro, ultimo residuo strutturale dell’antica chiesa cinquecentesca.
Attigui al presbiterio vi sono: a destra una spaziosa cappella-sacrestia, da cui si accede al chiostro e alla struttura conventuale e dall’altra parte un ambiente che si apre anche sulla navata di sinistra, un tempo destinato a cappella dove si venerava l’urna di Maria Bambina, oggi posta all’inizio della navata di destra. A metà circa di ciascuna navata laterale vi è un altare con ancona del Settecento, i quadri sono di autore ignoto e rappresentano: a sinistra la Sacra Famiglia; a destra la Madonna Addolorata con san Bonaventura da Bagnoregio, vescovo e dottore della Chiesa, san Felice da Cantalice, cappuccino ed un altro frate non identificabile in quanto raffigurato con attributi di individuazione (corona con dodici stelle e croce di Lorena) che non rimandano ad alcun personaggio conosciuto. Ai lati dell’ingresso vi sono una statua di sant’Antonio da Padova e una di santa Rita da Cascia di fattura abbastanza recente.
La pala dell’altare maggiore, del 1903, è dedicata alla Regina degli Angeli ed è opera del pittore Giuseppe Rollini (1842-1904) nativo di Intra.
I due grandi affreschi ai lati dell’altare sono stati realizzati nel 1924 dal pittore Paolo Giovanni Crida (1886-1967) di Graglia nel Biellese. A destra vi è dipinto il miracolo del Santo Sacramento durante l’inondazione del torrente Cevetta nel luglio 1584. A sinistra è rappresentata l’esaltazione del Terz’Ordine di san Francesco al quale si inchinano poveri e ricchi affratellati nell’amore di Dio, dove le eleganti vesti dei potenti, il colore severo del saio francescano e i miseri cenci dei mendicanti sintetizzano un’espressione pittorica di pace sociale.
Adiacente alla chiesa si trova la parte conventuale del complesso. Questa consiste in una costruzione di due piani che si sviluppa attorno a un piccolo chiostro centrale, circondato su tre lati da un porticato, oggi tamponato con ampie vetrate, sul quale si affacciano i numerosi ambienti. Parlando della chiesa e del convento dei Cappuccini non si può non ricordare la figura di padre Prudenzio Rolfo da Mazzè (1898-1986) che partecipò alla Grande Guerra, fu parroco del Sacro Cuore a Torino, missionario in Africa e nelle Americhe, cappellano della città universitaria a Roma, segretario provinciale dell’Ordine, predicatore agli emigranti in Svizzera e dal 1944 superiore del convento di Ceva. Cavaliere della Corona d’Italia, di Vittorio Veneto, della Repubblica e Cittadino onorario di Ceva ha lasciato nella popolazione un incancellabile ricordo per l’eccelsa opera sociale e spirituale esercitata con profondo fervore francescano.
Il sito dei Cappuccini è da sempre separato dalla città da un muro di cinta che delimita i terreni di proprietà dell'Ordine. La superficie di questi, a causa dell'espansione urbana, si è ridotta nel corso del tempo fino a rimanere un fazzoletto di terra a sud-est del complesso. Qui, lungo il muro perimetrale si trovano i resti di un dipinto incassato all'interno di un ordine di lesene, il cui stato di degrado consente appena di riconoscerne il tema di tipo mariano. Questi appezzamenti in passato erano serviti da un apposito canale irriguo, documentato fin dal 1469, per la maggior parte ancora esistente le cui acque sono captate dal torrente Recurezzo, presso la frazione Mollere e oggi bagnano le aree agricole di San Bernardino fino al Campanone. Per poter superare l'alveo del torrente Cevetta e portare l’acqua ai terreni del convento fu costruito un idoneo acquedotto formato da ampie arcate in muratura. La maggior parte di questa infrastruttura fu abbattuta negli anni Cinquanta del Novecento per consentire un più agevole transito lungo la statale 28, poiché l’altezza dell’ultima campata era relativamente bassa rispetto al piano della strada. Dell'acquedotto è ancora possibile osservare una sola arcata che emerge snella dalla vegetazione a scavalcare il Cevetta.