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Monumenti ed Architetture a Ceva


Associazione Ceva nella Storia - Chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina

Chiesa dell’Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina     Torna all'indice


Questa chiesa è la più importante dopo il Duomo all’interno del centro storico, nonché pregevole esempio di barocco piemontese in città. Si trova all’estremità nord-orientale di piazza Vittorio Emanuele II. L’edificio venne terminato nel 1735, sulla base del progetto e con la direzione dell’architetto monregalese Francesco Gallo (1672-1750).
Dal 1761 al 1765, quando erano in atto i lavori di ampliamento e di ricostruzione della facciata del Duomo, ebbe anche la funzione di chiesa parrocchiale.

L’intitolazione a Santa Maria e Santa Caterina deriva dal nome dell’omonima Arciconfraternita, che in questo edificio aveva la sua sede. Come più dettagliatamente specificato nel capitolo relativo all’Ospedale, in origine si trattava di due confraternite distinte, quella di Santa Caterina, i cui confratelli erano chiamati Umiliati e quella di Santa Maria che associava i Disciplinanti o Battuti. Prima della costruzione di questa chiesa le due confraternite avevano i rispettivi oratori poco fuori le mura della città, nei pressi della porta di San Francesco, sull’argine destro del torrente Cevetta. Successivamente ai danni provocati dall’inondazione del 6 luglio 1584, le due associazioni ripararono le rispettive strutture preesistenti, ma furono consapevoli della necessità di riedificarle in un luogo più sicuro. A tale scopo le due istituzioni si fusero in una sola, dando vita all’Arciconfraternita di Santa Maria e Santa Caterina e, verso la fine degli anni Settanta del XVII secolo, commissionarono al celebre architetto teatino Guarino Guarini (1624-1683) il progetto di un nuovo tempio su un terreno all’interno del “recinto” cittadino, da intitolarsi a Santa Maria e Santa Caterina.

Il progetto definitivo pare venne consegnato nel 1680, ma i lavori non iniziarono prima del 1700. Questi procedettero in modo regolare per poco tempo, poiché furono interrotti a causa di un esposto presentato dai proprietari degli edifici adiacenti, che si vedevano danneggiati dalla costruzione della nuova chiesa (la signora Anna Caterina moglie dell’avvocato Lubatti e il notaio Giorgio Antonio Guglielminetti). Dopo varie traversie di carattere amministrativo, legale ed economico, la situazione si sbloccò il 28 maggio del 1734 attraverso una “convenzione” con i vicini, grazie all’intervento dell’architetto monregalese Francesco Gallo, a cui venne affidato il compito di riprogettare la struttura religiosa, abbandonando gli originari elaborati del Guarini. Alla stesura del progetto seguì una rapidissima realizzazione, giacché, sul finire dello stesso anno, gran parte dei lavori risultavano essere in buon stato di avanzamento, per merito del capo mastro Giorgio Mazzi (come riportato dal cartiglio sul timpano in facciata) aiutato da Alessandro Bernascone, Sante Casella e un certo Fiori.

L’edificio fu completamente terminato l’anno successivo e venne ufficialmente consacrato il 18 novembre 1737 dal cappellano dell’Arciconfraternita Giovanni Tommaso Cora, delegato dal vescovo di Alba.

La facciata è di stampo barocco, in laterizio con basamento e alcune cornici in arenaria. Si presenta su due ordini sovrapposti, sormontati da un timpano scanalato, scandita da una tripartizione con un accenno di avancorpo centrale. La fabbrica della facciata è contemporanea all’edificio, mentre il campanile con l’orologio, a cui manca il meccanismo, vennero aggiunti in epoca successiva.

L’interno evidenzia un impianto di tipo centrale, caratteristico delle opere del Gallo, con una croce greca appena accennata, dove, all’incrocio dei bracci, si sviluppa il catino centrale (volta a bacino su base circolare). L’asse liturgico è evidenziato dalla contrazione dei bracci laterali, all’interno dei quali sono collocati due altari e dall’inserimento del presbiterio nella parte terminale di forma rettangolare, il tutto sormontato dalla volta a bacino, come lo spazio centrale di forma ovale. La chiesa è priva del coro, ma è dotata di una cantoria posta sopra l’ingresso su cui era installato un organo, fino alla terza decade dell’Ottocento, costruito dall’organaro Giovanni Battista Baracco di Mondovì, di cui ora rimane solo più la tastiera e l’artistico rivestimento in legno.

L’edificio religioso è provvisto di tre altari. Quello maggiore è dedicato alla Presentazione di Maria al Tempio ed è in legno decorato di color verde con inserti e fregi dorati intarsiati, in stile barocco; s’innalza a tutt’altezza, avvolgendo l’ancona raffigurante la Presentazione della Madonna al Tempio, proveniente dal vecchio Oratorio di Santa Maria della confraternita dei Battuti o Disciplinanti e attribuita al celebre pittore piemontese Claudio Francesco Beaumont (1694-1766), che fu molto attivo presso la corte sabauda. Sul lato destro del presbiterio è visibile, dipinta a chiaroscuro, la figura di san Pietro, mentre danneggiamenti all’intonaco causati dall’umidità, rendono impossibile il riconoscimento del personaggio raffigurato sulla parete opposta.

Gli altari laterali sono identici e in simmetria tra loro, entrambi in massoneria a stucco e centrati rispetto alla volta a bacino che li sovrasta. L’altare di sinistra è dedicato a san Clemente, martirizzato insieme a san Celso nel 286 d.C., a Roma. Si conservano qui le reliquie del santo, provenienti dal cimitero di San Ciriaco di Roma, sulla via Ostiense. Queste furono concesse con Bolle Pontificie nel 1784, per interessamento del padre cappuccino Cesareo da Paroldo (1722-1813) a quel tempo a Roma con le mansioni di segretario del procuratore generale del suo ordine. La traslazione avvenne il 24 luglio 1786. Il corpo ligneo del santo è conservato in una teca di legno color oro, decorata da alcuni fregi riconducibili ad una lavorazione romana seicentesca di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680), appartenenti ad un’altra urna. Non è da escludere che precedentemente questo altare fosse dedicato a Santa Caterina.

L’altare di destra è dedicato a Maria Vergine Addolorata e nella nicchia che lo sovrasta vi era una statua della Madonna dei Dolori offerta dal marchese Paolo Antonio Pallavicino, che veniva portata in processione dai membri dell’Arciconfraternita il giovedì santo. Questo simulacro non è più presente nella chiesa, così come un altro che era collocato in un’edicola sulla destra della balaustra. Inoltre sotto il pulpito era esposta un’urna di legno dorato contenente una reliquia di un san Costanzo (femore), dono del cardinale Marco Antonio Colonna e proveniente dalla catacomba di Ponziano in Roma; questo reperto fu consegnato nel 1788 dal vescovo di Alba monsignor Giuseppe Maria Langosco di Stroppiana († 1788), durante una sua visita pastorale. Probabilmente questi oggetti sacri, per preservarli dalle conseguenze della forzata situazione di incuria ed abbandono in cui versa l’edificio da molti anni, sono custoditi in qualche locale di deposito.

In questa chiesa venivano celebrate anche le funzioni dedicate a Santa Elisabetta d’Ungheria (1207-1231), patrona della Compagnia delle Umiliate, che un tempo avevano un loro oratorio chiamato anche del Corpo del Signore, ove oggi vi è il Palazzo di Città.

Avvicinandosi il centenario della traslazione delle reliquie di san Clemente e volendo celebrare solennemente la ricorrenza, l’anno precedente (1885) l’Arciconfraternita decise di attivarsi per la realizzazione di opere di abbellimento della chiesa. Fu così dato incarico al pittore Andrea Vinaj, autore dei pregevoli affreschi della volta del Duomo e dei quadri del presbiterio di questo, di provvedere alla completa decorazione dei soffitti e dei contorni delle pareti laterali. L’artista nell’ovale del catino sovrastante il presbiterio dipinse L’Annunciazione, con figure di angeli a chiaroscuro nei pennacchi sferici, mentre in quello rotondo centrale raffigurò l’Incoronazione di Maria Vergine. Distacchi di intonaco, provocati da infiltrazioni dal tetto, non consentono di individuare i personaggi riprodotti nei pennacchi di sostegno ad eccezione di uno in cui è rappresentato Mosè, come pure non si distinguono i soggetti delle due tele rotonde che sovrastano gli altari laterali.
Nella restante porzione di volta verso l’ingresso, il Vinaj affrescò un Sacro Cuore di Gesù ed un insieme con santa Caterina d’Alessandria, santa Elisabetta d’Ungheria ed una terza figura che, per l’abbigliamento da legionario romano e la palma del martirio che reca in mano, non può che essere identificato nel san Clemente di cui era prossimo il centenario della traslazione del corpo.

Lavori di ripristino delle dorature dell’apparato ligneo dell’altare maggiore furono affidati negli anni 1888 e 1889 al pittore-decoratore cebano Vincenzo Odello (1840-1895) detto Cilin o Cellin (soprannomi attribuitigli dalla gente che lo paragonava al grande Benvenuto Cellini).

Disegnati ai lati dell’ingresso, si notano dei dipinti a chiaroscuro, ma l’umidità li ha completamente cancellati, solo quello di sinistra si è conservato e raffigura san Bernardino da Siena.

A partire dalla metà degli anni Settanta del Novecento in questa chiesa non vennero più svolte funzioni religiose e la mancanza di mezzi finanziari per un’adeguata e costante manutenzione portarono la struttura ad un elevato stato di degrado, soprattutto per quanto riguarda il ricco apparato decorativo interno. Recentemente la parrocchia di Ceva ha ceduto in comodato d'uso gratuito trentennale la chiesa al municipio, il quale, nel settembre 2011, ha iniziato le opere per il recupero della struttura, incominciando dalla riparazione del tetto e cercando di togliere le infiltrazioni d’acqua al suo interno.