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Questa chiesa si trova in corso Garibaldi sul lato che costeggia il torrente Cevetta. La sua edificazione risale al 1901 e venne realizzata per sostituire l’originario edificio abbattuto lo stesso anno, poiché era fatiscente.
Le spese per la sua ricostruzione furono sostenute dagli abitanti del borgo e i lavori vennero affidati all’impresa di Zoppi Giovanni, detto Mitu, coadiuvato dai figli Giuseppe ed Alessandro. L’opera sorse su un terreno donato dalla famiglia Bezzone, dove insisteva un tempo una fabbrica di maioliche.
L’interno è formato da un ambiente di forma rettangolare le cui pareti sono scandite da un ordine di lesene che regge la cornice sulla quale sono impostate le volte. Queste consistono in una volta a vela allungata alle estremità da due volte a botte in corrispondenza dell'asse liturgico.
La zona del presbiterio, separata da alcuni scalini, da una balaustra in marmo e da un accenno di arco di trionfo, è trattata come uno spazio a sé in quanto sormontata da una volta a vela sostenuta da quattro archi. Questo tipo di impostazione spaziale è stata riscontrata in diversi casi tra le chiese e le cappelle presenti sul territorio di Ceva. L'altare è del tipo alla romana ed è rivestito in marmi policromi. L’ancona che lo sovrasta rappresenta Maria Vergine nel Cenacolo con gli Apostoli nel momento in cui ricevono lo Spirito Santo. Nelle pareti laterali due edicole contengono le statue della Madonna Immacolata e di sant’Antonio Abate; vi sono inoltre affissi piccoli quadri in bassorilievo con le stazioni della Via Crucis. Il pavimento è di marmo bianco e grigio.
Le superfici sono state recentemente ridipinte alternando alcune tonalità di giallo e ocra con il bianco, mettendo così in risalto l'architettura. Di particolare interesse è la scala a chiocciola in ghisa che si trova nell'angolo destro dell'aula, che sale fino ad un piccolo accesso al sottotetto aperto nella volta, che dà adito al campanile.
L’ambiente è illuminato da sei finestre arcuate a sesto acuto e da una finestra ovale in centro facciata, ad indicazione di una primitiva, ma non perseguita inclinazione allo stile neogotico della nuova chiesa.
La facciata, sobria e proporzionata, è tripartita da lesene che reggono un’importante trabeazione sulla quale è impostato un frontone triangolare, realizzato in un secondo tempo, al cui centro si trova una specchiatura circolare. Nel mezzo vi è il portale d’ingresso incorniciato da blocchi di arenaria scolpiti e sormontato dalla sopracitata apertura ovale, mentre ai lati due nicchie contengono le statue di Santa Margherita da Cortona a destra e Santo Stefano protomartire a sinistra. Il fronte in origine fu lasciato a rustico e dopo alcuni anni fu intonacato e tinteggiato con colori tenui. Nel 2011 un ulteriore intervento ha conferito l’attuale aspetto alla facciata, colorata di bianco ad eccezione delle lesene, alcune parti del frontone e del campanile che sono di colore rosa.
Il campanile, di modeste dimensioni, si trova sul lato destro della facciata, al di sopra del frontone. Esso si sviluppa sopra un basamento decorato da specchiature, con un ordine architettonico di paraste che inquadrano le aperture arcuate della cella campanaria. La piccola torre termina con un cupolino dalla struttura in legno e rivestito in lamiera.
Negli anni sono state più volte realizzate opere di manutenzione, abbellimento e decorazione della chiesa, particolarmente importanti quelle del 1974 e l’ultima del 2010/2011 eseguita dall’impresa R.A.M. di Ceva con la direzione dell’architetto Massimo Pianicco.
Un tempo, nel giorno di sant’Antonio Abate, si benedivano gli animali da lavoro e fino a poco più di un ventennio fa si alternavano priori e vice priori, scelti tra i residenti del borgo Sottano (Borsotan), che si prendevano cura di tutto quanto riguardava la chiesa, presso la quale si celebrava ancora la messa festiva.
Ora è rimasta solo più quella della solennità della Pentecoste. Vi si recita il Santo Rosario tutte le sere del mese mariano e rimane aperta in occasione delle due processioni che la comunità parrocchiale organizza durante l’anno: quella del Corpus Domini e quella della Madonna Addolorata.
La chiesa abbattuta sorgeva invece nello spazio attualmente occupato dal controviale opposto, quasi dirimpetto all’attuale, ma con la facciata rivolta verso il centro della città. Da alcune cartoline di fine ottocento e da un dipinto dell’epoca della demolizione, si può notare che era di modeste dimensioni, piuttosto stretta e lunga, con la facciata che si presentava su due ordini architettonici sovrapposti, sormontati da un frontone scanalato. Il primo ordine era costituito da uno spazio porticato di accesso ed il campanile era alla sinistra dell’abside.
Nel 1894, fu progettato un ampliamento, consistente nella realizzazione di due camere sul retro dell’abside, che non fu realizzato.
L’edificio subì nei secoli varie devastazioni, a causa delle frequenti inondazioni del Cevetta e conseguenti ristrutturazioni.
Sul seicentesco dipinto conservato in Comune nella sala del Camino e sulla tavola del Theatrum Sabaudiae del 1682, veniva disegnata priva del porticato di accesso e con il campanile sulla destra della facciata nel primo e alla destra dell’abside nella seconda.
Sulla data della sua costruzione non vi è certezza. Si sa invece che già nella seconda metà del Cinquecento era attiva in loco la Confreria dello Spirito Santo (Confraternita), che aveva la consuetudine di distribuire i ceci in occasione della Pentecoste e con i redditi derivanti dai beni stabili che possedeva, convertiti in frumento e castagne, provvedeva al sostentamento delle persone povere. Dal 1589, questi proventi vennero destinati a dote delle povere figlie del borgo Sottano che si maritavano. Gli interessi che maturavano da questo denaro, a partire dal primo Settecento, vennero impiegati per lo stipendio di un medico e di un chirurgo per la cura degli ammalati abitanti nel borgo.
Questo fu possibile fino al 1866 quando, per effetto della legge di incameramento dei beni delle opere pie, i cespiti andarono ad estinguersi.
La Confraternita fu oggetto di visita apostolica nel 1578 e nel 1585, rispettivamente di monsignor Gerolamo Ragazzoni (1537-1592), vescovo di Bergamo, che decretò l’erezione presso di essa di un monte di pietà e di monsignor Angelo Peruzzi († 1600), vescovo di Sarsina, che prese atto dei danni arrecati dall’inondazione del Cevetta dell’anno precedente. Entrambi i prelati però nelle loro relazioni non fecero cenno alla chiesa.
L’edificio era sicuramente già esistente nel 1638, in quanto l’arciprete Olivero, nella sua opera sulla storia di Ceva, asserì che il 26 gennaio di quell’anno Giacomo Antonio Moretti legava alla chiesa due cospicui censi, con il suo testamento, per le messe quotidiane in perpetuo a suffragio della sua anima.