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Questa chiesa è situata a metà della contrada di Valgelata nella piazzetta Piantabella intitolata al benefattore che nel 1500 fondò l’opera pia che in seguito si aggregò alla stessa chiesa.
La consacrazione dell’edificio di culto a San Carlo Borromeo (1538-1584), arcivescovo di Milano beatificato il 1° novembre 1610 sotto il pontificato di Paolo V (1552-1621), indica una devozione locale al santo ritenuta non comune nel Piemonte occidentale, rispetto ad altre aree di cultura lombarda. Non vi sono certezze sull’anno della sua edificazione, ma un legato testamentario del 1618, a suo favore, fa pensare che fosse stata costruita negli anni immediatamente successivi alla beatificazione del Borromeo.
Molti dei dipinti sulle pareti al suo interno sono degli ex voto in quanto la loro esecuzione fu finanziata da abitanti della borgata, da elemosine ed oblazioni. Questo porta a presumere che fosse stata eretta a ringraziamento per la preservazione dalle epidemie pestilenziali, che contagiarono buona parte di queste zone nelle prime decadi del Seicento e sia stata dedicata al santo di Arona proprio a memoria del suo grande prodigarsi durante la terribile peste che infestò il milanese nel biennio 1576-1577, ricordata appunto come “peste di san Carlo”.
Si ha l’indicazione del nome del costruttore, in quanto l’Olivero menziona un vecchio manoscritto su cui viene citata una quietanza del 1614 di fiorini 1.162,50 rilasciata da Mantilleri per la “fabbrica di San Carlo”.
La chiesa ebbe un suo cappellano e poté svolgere la sua opera grazie a consistenti lasciti, come ad esempio quello di Gherardo Pecollo (legò trenta messe col suo testamento del 23 settembre 1618), di Giovanni Battista Mantilleri (legò duecento e sessanta messe col suo testamento del 16 novembre 1658) e del canonico Greborio (legò duecento messe col suo testamento del 27 luglio 1751). Tanti altri atti di pio fervore giustificarono la concessione dell’indulgenza plenaria di papa Clemente XIV (1705-1774) nel 1774 a chi, in regola con i prescritti sacramenti, avesse visitato la chiesa nel giorno del santo, dai primi vespri fino al tramonto del sole.
La facciata della chiesa si ritiene abbia subito nel tempo varie modifiche. Infatti, pur tenendo conto della comprovata approssimazione con cui erano realizzate queste opere, si può notare che sul quadro del Seicento custodito nella sala del Camino del Palazzo Municipale è disegnata con un porticato antistante, mentre nella tavola del Theatrum Sabaudiae del 1682 è priva di porticato e termina con un timpano triangolare. Quella attuale è invece di conformazione molto semplice, sormontata da un attico, con alla destra un campanile di architettura seicentesca, il cui ultimo ripristino risale al 1795. Questo è in muratura di mattoni lasciati a vista, a base triangolare come quelli di San Bernardino, di San Rocco alle Mollere e di San Rocco in località Penne di Malpotremo. Al suo interno la campana porta incisa la frase Charlo pro nobis ed alcune figure che rappresentano san Carlo, il Crocifisso, la Madonna ed un altro santo non identificabile; vi è impressa la dicitura: «Costrutta Mazzola Roberto fu Pasquale - Valduggia - Vercelli - Ceva».
L’interno consta di un unico spazio di forma rettangolare, sormontato da una volta a botte con tre unghie per lato, di cui le due centrali più larghe e profonde. L’illuminazione naturale è assicurata da due lunette laterali, due finestrelle rettangolari in facciata e un oculo sopra il portale di ingresso. La porta di accesso ha stipiti ed architrave in arenaria scanalata.
Alle pareti sono raffigurati alcuni santi in affreschi raffinati e riquadrati, sormontati da una fascia decorativa a motivi vegetali per tutto il perimetro del locale. Le immagini dei santi sono attribuite dall’Olivero al pittore Giovanni Arigone, che le realizzò nei primi anni Trenta del Seicento, come si evince dalle iscrizioni che compaiono sotto alcune di queste.
Sulla parete di sinistra, partendo dall’ingresso è riprodotto san Francesco d’Assisi, seguito dalla figura di san Giovanni Battista e da quelle dell’Angelo Custode (ex Piis Elemosinis 1631 AG) e di sant’Agostino (S.Agustine l’Fato far’ Livia Arezza D’Ocellis di Ceva).
Proseguendo dal lato destro, dopo l’altare, sono ritratti san Bartolomeo Apostolo, san Diego (S.Diego 1632), santa Caterina d’Alessandria (S.Cat. -campro- ex voto ant... Macellarii), santa Lucia (S.Lucia ora 1632 D.Mag. ) e san Rocco (ex voto Rocus Gomus 1632 DL - 25 Maii).
In quattro lunette, alla base della volta sono invece affrescati alcuni momenti particolari della vita di san Carlo.
Alla sinistra di chi entra: la visita e la consolazione degli appestati nelle loro capanne e la predicazione agli eretici della valle Mesolcina.
A destra: san Carlo salvato dalla Divina Provvidenza da un colpo d’archibugio e la fondazione di monasteri di monache. Una piccola legenda in calce ad una di queste opere individua l’artista Lorenzo Ocello come autore delle medesime nel 1628.
Gli affreschi della volta rappresentano la gloria di san Carlo fra gli Angeli. Nella porzione sopra il portale di ingresso è raffigurato il simbolo araldico dei Borromeo, con il motto di famiglia: Humilitas, mentre nelle “unghie” laterali sono dipinti degli angeli, due dei quali reggono nastri con scritte a lode del santo: Vir desideriorum (uomo dei bisogni, uomo a cui rivolgere le richieste) e Pertransiit benefaciendo (passò con l’intenzione di fare del bene). Furono opera dell’Ottocento del pittore cebano Vincenzo Odello detto Cilin, morto nel 1895, come si evince da fatture rinvenute da ricerche in archivio, e di suo figlio, infatti l’indicazione “1910”, riportata sotto la croce rossa coronata di spine nella parte di affresco sovrastante l’altare, riferibile all’anno di esecuzione dell’intervento pittorico, individuerebbe quale esecutore anche “Cilin figlio”.
L’ancona dell’altare, di autore ignoto, rappresenta sant’Anna con Maria Bambina, tra un coro d’angeli che recano fiori, ai suoi piedi vi sono san Carlo e sant’Eligio vescovo. Tra i due santi è riportata, a tratti piuttosto grossolani, una veduta della Ceva seicentesca, compare inoltre in basso la figura di un maniscalco con alcuni attrezzi del mestiere.
L’altare è di legno dipinto, come pure il tabernacolo ed il tempietto che lo sovrasta, manufatti tutti dell’artigiano Giuseppe Quaglia, che ebbe il suo laboratorio nella contrada. Anche la balaustra ed il pavimento sono realizzati in legno.
Una tipicità di questo edificio religioso è il fatto che fino a poco tempo fa è stato un bene di appartenenza dei proprietari di Valgelata, che ne avevano da sempre curato le opere di manutenzione e restauro. Importanti quelli degli anni Settanta del XX secolo, quando venne rifatto il tetto e si ripristinarono il portale e gli affreschi.
Oggi sono ormai rare le occasioni in cui la chiesa è officiata: una messa nella festività di san Carlo ed un’altra nel mese di maggio, durante il quale si recita il rosario tutte le sere.