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Monumenti ed Architetture a Ceva


Associazione Ceva nella Storia - Chiesa di Sant’Agostino

Chiesa di Sant’Agostino     Torna all'indice


La cappella di Sant’Agostino fa parte del complesso del cimitero urbano. Prese il nome dall’ordine dei padri agostiniani che ebbero in questo luogo il loro convento dal 1473 fino alla soppressione, disposta nel 1798. Il convento e i terreni contigui furono messi all’asta e acquistati da Pietro Silvano e Pietro Boasso. Quest’ultimo cedette poi parte dei suoi poderi nel 1809 al Comune, che aveva deciso di trasferirvi il cimitero.

L’edificio religioso fu costruito ad opera della Compagnia del Suffragio, attiva in Ceva nell’Ottocento, a cui apparteneva anche una delle cappelle del Duomo. Questa pia associazione, nel 1843, aveva acquistato dal notaio Giansecondo Rovea il sepolcro e una piccola cappella dove dal 1825 riposavano le spoglie di un padre agostiniano di nome Franco Francesco, che era stato uno degli ultimi frati presenti nell’antico cenobio. Su parte dei muri di questo e sul sito occupato dal sepolcro e dalla piccola cappella, la Compagnia fin dal 1842, come compare in un’epigrafe della volta, aveva dato inizio ai lavori di costruzione dell’attuale chiesa.

Un tempo l’edificio di culto era molto frequentato, ma da diversi decenni non più officiato, anche per la precaria condizione strutturale dell’interno, privo ormai di qualsiasi tipo di suppellettile e arredo sacro.

La cappella si presenta a navata unica, con un solo altare di materiale laterizio con intonaci e stucchi tinteggiati in nero e oro, medesimi colori che caratterizzano il manufatto ligneo, finemente scolpito, che fece da cornice al grande dipinto trafugato negli anni ottanta del secolo scorso.

Un grosso affresco al centro della volta di autore ignoto, rappresenta il giudizio universale.

La pavimentazione è in cotto e le pareti sono quasi completamente coperte da lapidi, alcune artisticamente lavorate, disposte con accurata geometria, che conferiscono a tutto l’insieme, anche a causa dello stato di abbandono, un aspetto un po’ tetro. Queste lastre sepolcrali sono per buona parte riferite alle persone che, fin che la legge non lo impedì, trovarono sepoltura nelle cripte sotterranee, ora inaccessibili, alle quali si aveva adito attraverso cinque botole in pietra.

Qui furono inumati i resti mortali del noto drammaturgo cebano Carlo Marenco, prima di essere trasferiti nel famedio dello stesso camposanto. Unitamente alla beneficenza di pie persone della città questi, con l’elargizione di una cospicua somma, aveva contribuito alle opere di costruzione della chiesa, che come già accennato, a perenne memoria dell’antico monastero, venne intitolata a Sant’Agostino d’Ippona.

La facciata è tripartita, con due ordini architettonici sovrapposti, sormontati da un frontone piuttosto slanciato. Nell’ordine inferiore vi è un portale centrale con frontone semiovale e due specchiature laterali con timpano triangolare.

Nel secondo ordine sono inserite tre finestre tamponate, aperte solo in piccole lunette nella parte superiore. Nell’intonaco, completamente bianco, sono evidenti i segni dell’incuria.

Una particolarità strutturale della cappella è dovuta al fatto che l’interno è molto più stretto di quanto fa intendere la larghezza della facciata. Infatti nella cubatura dietro alla parte destra sono ricavati due locali sovrapposti, dei quali uno fungeva da sacrestia e un vano scala da cui, attraverso il tetto, si accede al campanile. Questa porzione di edificio in lunghezza si interrompe poco più che ad una terzo di quella della navata dando alla pianta complessiva della chiesa un’insolita forma ad “L”. Si può congetturare che tali disomogeneità architettoniche possano essere dovute al motivo di aver usufruito di parte delle strutture murarie preesistenti appartenenti all’ex convento ed alla cappella del frate Franco.

Nel mese di maggio del 1939 venne installata la croce in marmo (3,40 metri di altezza e 1,60 metri di larghezza) su basamento di granito al centro dell’area di fronte all’ingresso, in sostituzione della precedente in legno, realizzata dal marmista Borgna Luigi di Ceva.