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Monumenti ed Architetture a Ceva


Associazione Ceva nella Storia - Chiesa di Santa Libera (Santa Liberata)

Chiesa di Santa Libera (Santa Liberata)     Torna all'indice


La cappella si trova alla Torretta, l’antico borgo di Sant’Andrea, nella parte più alta del quale un tempo era sita l’omonima chiesa.

Tradizioni orali fanno risalire l’edificazione della chiesa di Sant’Andrea all’inizio del secondo millennio sopra i ruderi di un tempio pagano. Di questa rimangono alcuni resti incorporati in un'abitazione privata. Le rendite della chiesa, una volta sconsacrata, dettero origine ad un canonicato sotto lo stesso titolo presso la Collegiata di Ceva.

La costruzione della cappella di Santa Libera, invece, risale alla metà del XVII secolo in quanto, anche se non indicata nell’elenco didascalico, appare già raffigurata sulla tavola del Theatrum Sabaudiae del 1682. Inoltre il quadro che ne adorna l’altare è sicuramente opera del Seicento. La leggenda vuole che fosse stata eretta a seguito dell’alluvione del Tanaro del 1610, quando il fiume, ingrossato a dismisura nell’impeto della sua corsa, trascinò un grosso masso. Lo stesso è ancora oggi visibile, ma solo in minima parte a causa della modificata pendenza della strada, alla base del muro esterno di destra. Il punto dove si fermò la pietra segnò il limite oltre il quale l’acqua non sarebbe mai arrivata e per questo proprio lì venne edificata la chiesa.

La pala d’altare della cappella è il citato quadro del Seicento. In un primo tempo era in un’edicola votiva già esistente nei pressi ed era un ex voto, commissionato da un maniscalco del posto in ringraziamento a Santa Libera che preservò la sua consorte, incinta, dalle conseguenze di un calcio di una mula che lui stava ferrando. La donna partorì due gemelli e questo giustificherebbe la presenza sul quadro di una figura femminile, verosimilmente santa Libera, che regge due bambini in fasce ai piedi di una Madonna con Bambino, sul lato opposto è raffigurato il vescovo sant’Eligio, patrono dei maniscalchi e alla base della tela un episodio che la leggenda ascrive a quest’ultimo, quando miracolosamente riattaccò la zampa ad una cavalla. Il quadro viene attribuito per certe impronte stilistiche alla scuola dell’artista Bartolomeo Garavoglia (1620ca.-1691), che operò nei domini dei Savoia. Altre ipotesi lo considerano somigliante ad un’opera del pittore Ferdinando Glazer, collocata nella chiesa parrocchiale di Finale Marina.

Questo è quanto la memoria popolare ha tramandato fino ai giorni nostri in ordine alla costruzione dell’edificio religioso.

Nel tempo si è riscontrata molto più dibattuta invece la questione attorno alla sua intitolazione a santa Libera. Alcuni storici del passato, sottolineando che nel martirologio romano non si trovano sante con questo nome, supposero che si potesse trattare della venerazione alla Madonna della Libera, tipica in diverse parti dell’Italia centro-meridionale.

Al contrario, studi condotti di recente, sviluppati in una piccola opera edita nel 2009, rimandano al culto di Sainte Livrade (francese) di Aquitania, (Librada in spagnolo, Liberata in italiano) che sarebbe giunto con gli spagnoli, verso la fine del Cinquecento. Presso di loro la santa martire del II secolo godeva di grande devozione e non tardò a radicarsi anche in Italia, specialmente in Calabria e sulle coste e nell’entroterra della Liguria di ponente.

Non è da sottovalutare comunque anche un riferimento a santa Liberata da Como, monaca benedettina del VI secolo, per il fatto che è sovente rappresentata iconograficamente con in braccio due gemelli, proprio come il personaggio femminile che compare, come anzidetto, sull’ancona dell’altare della cappella. Ad avvalorare la supposizione della sua dedicazione ad una delle due sante interviene quanto scritto sul riassunto dei decreti emanati dal vescovo di Alba Carlo Francesco Vasco, in occasione della sua visita pastorale del 1728 che, impartendo prescrizioni manutentive, parlava di «… Capella di S.ta Libera, osia Liberata alla Torretta…».

La piccola chiesa, sul lato di sinistra e sul fondo è addossata agli edifici contigui. Il resto della superficie esterna è stato ritinteggiato di recente. In facciata, oltre ad un piccolo campanile sporgente dallo spiovente di destra si nota, sopra un arco di mattoni sovrastante il portale di ingresso, una trabeazione completa sostenuta da due resti di capitelli che fanno intuire la preesistenza di due paraste a indicare che in passato alla medesima facciata fosse applicato un ordine architettonico compiutamente realizzato.

L’interno è costituito da un unico spazio rettangolare con volta a botte, arricchita da una serie di tre “unghie” per lato, con parasta e cornice. La pavimentazione è in mosaico di piastrelle di ceramica multicolore, tipica produzione locale della fabbrica Ilsa. Venne posata nel mese di maggio del 1963. L’altare è in muratura, con parte superiore e tabernacolo in legno decorato. Alcune mancanze di intonaco sul lato sinistro fanno supporre la precedente esistenza di un apparato decorativo con colorazione tendente al rosso che si intonava con quella dell’estetica cornice della pala d’altare.

All’esterno, sul fianco verso la strada, vi è un affresco che raffigura San Rocco, santo protettore della peste, molto probabilmente realizzato in occasione o subito appresso ai contagi che infestarono Ceva, come buona parte dell’Italia settentrionale, nelle prime decadi del Seicento.

L’alluvione del 1994 arrivò fino alla soglia della cappella. In seguito, grazie alla generosa disponibilità degli abitanti della contrada, nel 1995 si diede avvio ai lavori di restauro della pala d’altare, poi dell’affresco di San Rocco e dell’esterno.
Nel mese di maggio in questa cappella viene recitato il rosario tutte le sere.