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Monumenti ed Architetture a Ceva


Associazione Ceva nella Storia - Il Castello - I Palazzi Pallavicino

Il Castello - I Palazzi Pallavicino     Torna all'indice


All’interno del centro storico di Ceva, nello spazio che separa il greto del fiume Tanaro dal borgo Sottano e dal torrente Cevetta, si eleva una piccola altura che sovrasta l’abitato, quasi completamente ricoperta da un rigoglioso boschetto che nella parlata cebana si è soliti chiamare Castèl.
In quest’area, sostanzialmente non abitata, emergono dalla vegetazione due fabbricati di importanti dimensioni: il Palazzo Rosso e il Palazzo Bianco, così definiti per via della loro colorazione e indicati comunemente dagli abitanti di Ceva come Castello Rosso e Castello Bianco.

La storia di questo promontorio, sul quale regna un’irreale quiete, tenuto conto della sua posizione centrale rispetto all’abitato, affonda le sue radici nell’XI secolo e, al contrario di oggi, era il luogo di maggiore fermento e vitalità presente nella zona. Qui infatti si sviluppò il primo abitato di Ceva sulla sponda destra del fiume Tanaro.
Il casato aleramico, verso i primi anni del XII secolo, fondò su questa altura il Castrum Cevae, ovvero un piccolo borgo che attirò gli abitanti dei villaggi vicini. Di questo primitivo borgo purtroppo non è rimasto molto, visto che era costituito per la maggior parte da abitazioni in legno, delle quali non è arrivata traccia alcuna. Si sa però che questo centro era dotato della parrocchiale di Sancta Maria de Castro (Santa Maria del Castello) già dai primi anni del XIII secolo, che sopravvisse al borgo fino ai primi decenni del Seicento, quando venne demolita in seguito alla decisione di edificare una nuova chiesa parrocchiale, ovvero l’odierno Duomo.
Dalla documentazione cinquecentesca si evince che in quell’epoca l’antico edificio religioso era di importanti dimensioni e il suo interno era a tre navate con otto altari, oltre a quello maggiore, ma versava in pessime condizioni di conservazione, il che portò la comunità a decidere di abbatterlo per edificarne uno nuovo. A questa chiesa era annessa la casa dei canonici, che fu trasformata nel Palazzo Bianco nel XVII secolo ed in seguito venne edificata la cappella del Crocifisso.
Nel medioevo sul sito insisteva un castello, eretto probabilmente verso la fine XII secolo dal marchese Guglielmo, nipote di Bonifacio del Vasto (1060 ca.-1130 ca.), che fu il primo membro del casato aleramico a prendere dimora a Ceva, dando di fatto il via al Marchesato di Ceva.
Al contrario di quello che si potrebbe pensare, a questo primo Castello non corrisponde alcuna delle odierne strutture, lo stesso infatti era stato costruito sul punto posto alla quota più elevata di tutta la collina, nell’angolo sud-orientale del promontorio, poco a meridione dell’attuale Palazzo Rosso. Questo antico castello fu distrutto per volere dei Savoia durante i primi decenni del XV secolo, quando il duca Amedeo VIII, sconfitti e assoggettati all’obbedienza gli Aleramidi, assunse anche il titolo di marchese di Ceva. Dunque, quello che fu uno dei luoghi più importanti della vita del Marchesato, fu ridotto ad un ammasso di ruderi ricoperto da arbusti selvatici.
In questo castello si dice abbiano soggiornato personaggi importanti: uno dei primi, come scrive l’Andrà nelle Memorie storiche della Città di Ceva, pare sia stato Bonifacio I vescovo di Asti, che nel 1205 stipulò nella casa dei canonici di Santa Maria del Castello un atto di donazione di alcuni beni alla certosa di Casotto.
É verosimile che vi abbia pure trovato ospitalità san Bernardino da Siena, verso la fine della seconda decade del Quattrocento, durante uno dei suoi viaggi di predicazione, mentre pare molto più legata ad una leggenda tramandata oralmente la presenza di san Francesco d’Assisi (1182-1226) nel 1214, quando, come afferma lo storico albese Giuseppe Vernazza (1745-1822) nella Vita di san Teobaldo, fu da queste parti a fondare conventi.
Nei secoli successivi il borgo si spopolò, ma non perse di vitalità in quanto venne trasformato in una cittadella fortificata e solo dalla seconda metà del XVI secolo in poi questa collina divenne una tranquilla ed elegante dimora signorile.
Il sito è privato.

Palazzi Pallavicino

Il Palazzo Rosso, più ampio e forse più antico, è situato all’estremità orientale del promontorio e troneggia imponente sul centro storico. Si tratta di un fabbricato risultato, con ogni probabilità, di numerose fasi edificatorie. Il nucleo più vetusto è quello rivolto verso l’abitato ed è costituito da un corpo costruito plausibilmente tra il XIV ed il XV secolo, a ridosso della cinta muraria che chiudeva l’intera altura. Il fronte di questa porzione è caratterizzato dalla presenza di due aperture a sesto acuto a livello del primo piano, che corrispondono, all’interno, alla sala delle Colonne, così chiamata per via della decorazione pittorica delle pareti. Si tratta dell’ambiente più spazioso di tutto il palazzo ed è arricchito, oltreché dai magnifici ornamenti decorativi, dalla presenza di un imponente camino sulla parete di fondo. Il soffitto è in legno, come quasi tutti gli altri del palazzo e l’accesso alla sala avviene tramite alcune porte abilmente mimetizzate. Le due finestre a sesto acuto sono dotate di specifiche sedute, ricavate all’interno del considerevole spessore della parete. Da qui si gode una splendida vista sui tetti della parte più vecchia della città.

Tornando all’esterno, sempre sul fronte orientale, poco sopra le sopracitate finestre a sesto acuto, si osserva una curiosa sequenza inclinata di archetti pensili che fa pensare che in origine l’edificio fosse stato più basso di un piano e si chiudesse sulla sala delle Colonne. A livello del secondo piano, sopra gli archetti, si nota un ordinato susseguirsi di finestre, realizzate in epoca relativamente recente, a chiusura di un ampio loggiato aperto (simile all’ultimo piano del Palazzo Bianco) i cui archi si possono ancora osservare all’interno degli ambienti del secondo piano. Ancora sul medesimo fronte, sulla parte destra della facciata, emerge un corpo di fabbrica identificato comunemente come Torre, leggermente più basso del resto del palazzo e chiuso superiormente da un piccolo terrazzo coperto, dal quale si domina l’intero centro storico di Ceva. In verità in passato questo dava accesso ad un lungo cammino di guardia che si sviluppava al di sopra di un massiccio muraglione, crollato nel 1839, che chiudeva il lato orientale dell’area del castello. Su questa facciata si apre anche il portale che introduce nel complesso dal lato del centro storico, da via Pallavicino deviando per via Salita al Castello.

Varcato il portale ci si trova su un viale che costeggia il lato settentrionale del Palazzo Rosso. Si tratta di una porzione edificata nel XVI secolo, a ridosso delle strutture di epoca medievale sopradescritte, quando il capostipite Giulio Cesare Pallavicino ristrutturò il fabbricato preesistente e lo ampliò con questa nuova parte.
Qui il palazzo si presenta con una facciata ordinata e caratteristica delle residenze nobiliari, al cui centro si trova l’ingresso principale costituito da un elegante portale in arenaria. Questo immette in un grande atrio, ai piedi dello scalone del palazzo, che sembra “scalare” la collina del castello dando accesso al piano nobile. Lo scalone di fatto fa da cerniera tra la parte medievale e quella cinquecentesca dell’edificio, infatti giunti alla sua sommità, a sinistra si incontrano gli ambienti più antichi, come la Torre e la sala delle Colonne, in cui è raffigurato un ordine architettonico di colonne che sorreggono una trabeazione nel cui fregio vengono rappresentati alcuni eventi della famiglia marchionale, messi in risalto dalla Galante Garrone: «… lo straordinario ciclo della sala delle colonne nel castello rosso dei Pallavicino, databile intorno al 1550, che si ricollega alla tradizione cavalleresca del marchesato di Saluzzo; vi compaiono battaglie, inseguimenti avventurosi, amori, concerti, cacce, controbilanciati da dotti riferimenti ai sapienti antichi, da eroiche virtù e dallo sguardo vanificante dell’Ecclesiaste. Il salone, prevalentemente dipinto a monocromo, con limitati inserti di colore e dorature (azzurri dei fondi, finti marmi, particolari preziosi) non può non evocare la decorazione del castello di levante a Lagnasco, eseguita da Pietro Dolce intorno al 1560; gli affreschi di Ceva si rivelano meno omogenei, e realizzati a tratti con un segno frettoloso che semplifica la fattura compendiaria di precedenti affreschi saluzzesi (come le Storie della Maddalena nella Parrocchiale di Costigliole Saluzzo) in singolare assonanza con alcuni cicli dedicati all’Eneide presenti nelle corti dell’Italia settentrionale. I dettagli più nervosi e miniatori presentano stringenti somiglianze con le “drôleries” e i ritrattini del Dolce a Lagnasco, e con i resti del ciclo ispirato all’Orlando Furioso dell’Ariosto, dipinto nel 1550 dal pittore saviglianese a Chiusa Pesio nel casino dei marchesi di Ceva vicino al fiume… È così ipotizzabile l’intervento in alcune parti del ciclo di Pietro Dolce, o quantomeno di un artista a lui vicino, mentre c’è da supporre che l’impianto generale delle decorazioni derivi da un modello prestigioso che ispirerà gli affreschi di Lagnasco... »
Sulla destra dello scalone vi è un’enfilade di locali eleganti, con soffitti in legno decorato.

Degno di nota è l’emblema che sovrasta l’ingresso secondario del primo piano, da cui si accede al parco sul lato meridionale del fabbricato. Infine non può sfuggire la presenza di un grandioso portale in mattoni sul lato settentrionale della sopradescritta Torre; si tratta di un’aggiunta recente, del XX secolo, in stile neogotico. Il colore rosso che lo contraddistingue è, con tutta probabilità, riconducibile al XIX secolo, in linea con le tendenze dell’epoca. In origine presentava una colorazione differente.

Proseguendo per il viale, dopo aver costeggiato il Palazzo Rosso, si giunge su un pianoro, libero da alberi, in fondo al quale si erge il Palazzo Bianco. Questo si trova nella parte centrale della collina, vicino al ciglio del precipizio tufaceo che scende fino al greto del fiume Tanaro. Come il Palazzo Rosso, anche quello Bianco è sicuramente l’espressione finale di numerose fasi edilizie e oggi si presenta come un’elegante dimora nobiliare seicentesca. La sua facciata più nota è quella rivolta a sud, verso il Tanaro. Questa si sviluppa per due piani sormontati da un grande loggiato facente parte del sottotetto, formato da una lunga serie di archi. Anche la facciata sul pianoro si articola nello stesso modo ed ospita l’ingresso al palazzo, costituito da un elegante portale.

Nel XIII secolo parte di questo edificio (non è dato sapere con precisione quale) costituiva la casa dei canonici associati alla parrocchia di Santa Maria de Castro. Questi nel 1588 la vendettero al marchese Paolo Antonio († 1625), figlio di Giulio Cesare Pallavicino, il quale in seguito trasformò il vecchio fabbricato medievale in una residenza nobiliare, conferendogli, forse già all’epoca, l’attuale aspetto.

Addossata a questo fronte, a destra del portale di ingresso, si trova la cappella marchionale intitolata al Santo Crocefisso. Si tratta di una costruzione di ridotte dimensioni eretta nella seconda metà del Seicento, caratterizzata da una piccola cupola rotonda.

Nei secoli furono ospitati vari illustri personaggi nei due palazzi: almeno una dozzina di volte, tra il 1564 ed il 1578, il duca Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580), vi passò il Natale del 1577; nel luglio del 1585 il duca Carlo Emanuele I di Savoia (1562-1630) e la consorte Caterina d’Austria (1567-1597), figlia del re di Spagna Filippo II (1527-1598), durante il loro viaggio nuziale da Saragozza, dove si erano sposati, verso Torino; nel 1594, scrive lo storico cebano Aldo Martini, si trovarono a soggiornare dai Pallavicino il re di Spagna Filippo II ed il cardinale Pierre de Gondi (1533-1616), arcivescovo di Parigi, pare che entrambi presero parte alla processione del Corpus Domini; nel novembre del 1595 vi sostò, con un numerosissimo seguito, il cardinale Alberto d’Asburgo (1559-1621), arcivescovo di Toledo, figlio dell’imperatore Massimiliano II (1527-1576) e nipote di Carlo V (1500-1558); il 20 aprile 1796, Napoleone Bonaparte si recò a cena nel Palazzo Bianco, ospite del marchese Cosma Damiano Pallavicino; esiste ancora la camera da letto ove il comandante dell’Armée d’Italie riposò qualche ora.

Oltre ad eminenti personaggi, si deve annotare che passò per questi siti anche la Santa Sindone. Molto vaghe e non suffragate da prove documentali sono le notizie della sua presenza nel 1561, nel corso di un trasferimento da Nizza a Chambery, mentre è comprovato il passaggio nel giugno del 1706, durante l’assedio di Torino da parte dei francesi, quando Anna d’Orléans duchessa di Savoia (1669-1728), con la sua famiglia, ad esclusione del marito Vittorio Amedeo II (1666-1732), si rifugiò a Genova portando con sé il Sacro Lino.

Lungo il viale d’ingresso, quasi di fronte al Palazzo Rosso, si sviluppa una serie di fabbricati di servizio di diverse epoche (dal XIII al XX secolo) e grado di conservazione. Probabilmente in origine erano le scuderie e le abitazioni della servitù. Come sopra accennato il viale prosegue in modo pressoché rettilineo, guadagnando quota, fino a giungere prima sul pianoro e poi sul lato settentrionale del Palazzo Bianco. Qui inizia una lenta discesa con alcuni tornanti, che si estende all’interno della fitta vegetazione del versante settentrionale della collina (verso il borgo Sottano) per arrivare ad una cancellata nei pressi del ponte della Catalana. Lungo questo percorso si possono osservare non pochi resti murari riconducibili, forse in parte, al perimetro difensivo medievale, ma nella stragrande maggioranza alle strutture dei giardini all’italiana, andati perduti, che circondavano ed arricchivano le due dimore nobiliari.