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Monumenti ed Architetture a Ceva


Associazione Ceva nella Storia - Il Forte di Ceva

Il Forte di Ceva     Torna all'indice


Le prime menzioni del Forte di Ceva risalgono alla fine del 1552. Si trattava della costruzione di una fortezza “alla moderna”, adatta a fronteggiare le nuove strategie delle guerre cosiddette di movimento, che a partire dal XV secolo, con lo sviluppo delle artiglierie portatili, avevano costretto ingegneri ed architetti militari a ristudiare radicalmente la modifica dei vecchi fortilizi medioevali, basati sul sistema delle torri e dei fossati.

Si andò quindi, in breve tempo, ad edificare strutture che potessero contrastare nel miglior modo possibile l’introduzione delle nuove tecnologie nelle armi d’assalto e d’assedio. Le moderne fortificazioni erano pertanto caratterizzate dall’applicazione di soluzioni edilizie rivoluzionarie: bastioni, muri di controscarpa, rivellini, tenaglie, spalti, strade coperte, terrapieni, gallerie di mina e contromina ecc...

L'edificazione della struttura di difesa fu richiesta dai genovesi all’imperatore Carlo V (1500-1558), impegnato con le sue truppe, al comando di Don Ferrando Gonzaga (1507-1557) contro quelle del re francese Enrico II (1519-1559), capeggiate dal maresciallo Charles de Cossé conte di Brissac (1505 ca–1563), per sbarrare la via del mare ai francesi accampati nell’astigiano. L’opera fu finanziata con fondi imperiali e proventi che derivavano da tassazioni straordinarie sulla popolazione del Marchesato.

Il Forte venne costruito, si presume, su progetto dell’architetto cremonese Benedetto Ala, sulla Rocca della Guardia, altura dominante a picco la città di Ceva posta a 550 metri sul livello del mare, da dove si ha un’ampia visuale su tutte le alture circostanti e si può esercitare una comoda sorveglianza su tutte le strade di accesso alla città medesima.

Qui probabilmente esistevano ancora resti di fortificazioni medievali. La fortezza, sebbene non ancora ultimata, con un presidio di 400 uomini tra spagnoli e italiani, sostenne il primo assalto a giugno del 1553 contro i francesi che ebbero la meglio.

Dopo la pace di Cateau Cambrésis, nel 1559, il forte venne abbattuto prima di essere consegnato al duca Emanuele Filiberto di Savoia, il quale provvide a ricostruirlo seguendo il progetto dell’architetto vicentino Francesco Horologi († 1577).

L’opera fu compiuta in diversi anni e venne sempre aggiornata, ampliata ed ammodernata dai sovrani suoi successori, adeguandosi alle mutate tecniche d’assedio.

Il Marchesato di Ceva venne inglobato nel ducato sabaudo dal 1531, epoca del duca Carlo III (1486-1553). Di conseguenza il Forte fu impiegato a scopo di protezione dei confini con la Repubblica Genovese e a fronteggiare gli eventuali assalti nemici da sud. La fabbrica del Forte si dimostrò, per l’economia di Ceva, tanto importante da valergli il titolo di Città e soprattutto le permise di mantenersi in posizione di preminenza negli interessi dei duchi, che non disdegnavano di frequentarla durante i passaggi verso i porti di mare, ospiti dei marchesi Pallavicino.

Il Forte fu interessato da tutti gli eventi bellici susseguitisi dal Seicento al Settecento, dalla guerra dei trent’anni e del Monferrato a quelle civili.

Nel 1641, durante le lotte tra madamisti e principisti, una mina distrusse una cortina e un bastione e il Forte passò in mano francese. L’episodio palesò la necessità di aggiungere un grande corpo a tenaglia dal lato nord secondo i progetti degli architetti Carlo (1599 ca.-1665) e Michelangelo (1622 ca.-1685ca.) Morello.

Nel periodo della sua massima estensione superficiale la fortezza occupava tutta la sommità della rocca, con una parte che si affacciava sul precipizio della medesima che dava sulla città, estendendosi poi a nord con l’opera a corno verso i colli di Faja e Baglione e dalla parte opposta scendendo con mura bastionate più in basso, seguendo l’andamento del declivio. Poteva contare costantemente su una guarnigione di 400-500 uomini.

Due erano le porte di accesso, a sud-est la Porta di Ceva, che introduceva nella parte più bassa del forte e a ovest la Porta Reale, attraverso la quale si entrava sul piazzale superiore, contornato dal palazzo del governatore, da quello del comandante, dalle caserme e dai magazzini. Vi erano pure alcuni antri adibiti a prigione, un forno e al centro della spianata un grande pozzo-cisterna per la riserva idrica necessaria alla guarnigione.

I cinque bastioni, sui quali era sistemato un adeguato numero di pezzi di artiglieria, avevano una denominazione che, tranne per uno, cambiò nel corso del tempo: i due che guardavano Ceva erano, ad ovest quello del beato Amedeo (nel Seicento chiamato di san Pietro), a est quello di Santa Margherita (prima noto come baluardo del Duca), verso le colline retrostanti ai lati del cavaliere (opera architettonica che superava in altezza quella dei bastioni, qui ricavata da una collinetta tufacea che si innalzava sul lato nord del piazzale) vi erano quelli di Santa Teresa ad ovest e di San Giovanni Battista (prima bastione Madama) al centro, mentre quello più in basso nella parte ad est era detto di San Maurizio (in origine baluardo del Principe).

Nel secolo successivo il forte venne inserito fra gli obiettivi militari dei franco-spagnoli impegnati nella guerra contro l’Austria e il Piemonte.

Il maresciallo francese Jean Baptiste de Maillebois (1682-1762) lo definì le grand diable e si portò sempre in animo di assalirlo.

Continuò a mantenere alto livello di importanza strategica nella difesa dei confini meridionali anche nella guerra contro la Francia rivoluzionaria a partire dal 1792. Con l’arrivo di Napoleone Bonaparte (1769-1821) la fortezza si trovò nella posizione di perno su cui ruotava tutta la resistenza piemontese.

Napoleone aveva un piano per assalirla ma, per il poco tempo a disposizione e dopo l’esperienza dell’inaspettata resistenza del castello di Cosseria, preferì desistere, per inseguire l’armata del re in ritiro su Cherasco e Torino. Comunque ordinò per più volte la resa, sdegnosamente rifiutata dal governatore Francesco Bruno di Tornaforte (1729-1814).

Con l’armistizio di Cherasco dell’aprile 1796 il Forte venne consegnato ai francesi che lo tennero con una guarnigione sino al 1799 quando, con un colpo di mano da parte di antigiacobini e popolani locali, al comando del capitano Francolino di Castellino Tanaro, fu assalito vittoriosamente e tolto agli occupanti. Il presidio russo-piemontese che lo custodì vi rimase sino alla battaglia di Marengo del 1800, vinta da Napoleone. Questi decise di radere al suolo la fortezza, anche se inizialmente intendeva preservarla per avere delle postazioni difensive sulla via del ritorno in caso di sua ritirata dall’alessandrino. I motivi di questo atto sono da ricercarsi sia nell’orgoglio ferito di Napoleone, in occasione della prima campagna d’Italia, che nel timore di perdere nuovamente una fortezza ottenuta solo a seguito di trattati di pace e non per meriti militari.

Fu così che nel 1801, dopo essere stato minato, il glorioso fortilizio fu fatto saltare in aria dopo che suppellettili, armamenti, materiali di reimpiego ed altro vennero venduti dall’am-ministrazione francese.

Questa fortezza nel corso dei secoli, oltre a baluardo di difesa, fu anche una prigione per prigionieri politici e delinquenti comuni. Fra i primi si ricordano il patriota giurista napoletano Pietro Giannone (1676-1748), i fratelli monregalesi cavalier Nicola e conte Dalmazzo Francesco Vasco (1732-1794), considerati dei reazionari dalla monarchia piemontese e Anna Teresa Canalis di Cumiana, marchesa di Spigno (1680-1769), moglie morganatica del re Vittorio Amedeo II.

Attualmente rimangono ancora parecchie vestigia che si sono salvate dalle mine, ma non visitabili in quanto il sito è privato. La vecchia dimora agricola, costruita nell’Ottocento sulle rovine del palazzo del Governatore del Forte, è stata recuperata divenendo un’elegante abitazione colonica.

In mezzo all’odierno giardino, detto al tempo del Forte cortile superiore o piazza d’Armi, vi è un pozzo che dà accesso ad un grosso locale sotterraneo intonacato, privo di buchi o tubi, con solo una grossa colonna al suo interno, anch’essa senza aperture. Su alcune mappe francesi dell’epoca è indicato con il termine cisterne, su una mappa italiana Pozzo e Cisterna con cumulo di terra in provisione attorno, armati a prova di bomba.

Sulla porzione meridionale di questo spazio, verso la rupe, si eleva la Croce del Forte ben visibile dalla città.