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La Torre di Porta Tanaro è l’unico esempio ancora esistente in città di torre-porta medioevale conservata integralmente, quella nota come Campanone è una torre perimetrale.
Nel Medioevo si costruì un ponte di dodici arcate sopra il fiume Tanaro e in corrispondenza del secondo pilone di sostegno fu edificata questa torre, che costituiva uno degli accessi principali alla città, da ovest.
Quando fu eretta la torre, gli elementi strutturali di appoggio si trovavano all’interno del greto del Tanaro. Il ponte venne parzialmente distrutto in occasione dell’esondazione del fiume del 7 ottobre 1331, la torre rimase integra, ma il passaggio cadde in disuso poiché non fu prontamente riparato.
La torre è del tipo a gola aperta, ovvero chiusa su tre lati, con il quarto aperto e rivolto verso l’abitato e questo rende possibile osservarne la struttura interna.
Questa è ad oggi costituita sostanzialmente da due livelli, più la copertura, ripartiti tramite due ampie volte a botte in mattoni. In quello che si può ricondurre al piano terra si trova il varco attraverso la struttura, che fungeva da passaggio.
Esternamente (per chi entrava in città) la porta consiste in un arco di mattoni a sesto acuto, con chiave di volta in arenaria nella quale si intravede scolpito l’emblema marchionale della famiglia Ceva. Sopra questo arco si osserva un grande riquadro intonacato, che risalta sulla muratura di mattoni, all’interno del quale era rappresentato uno stemma nobiliare di cui, pur osservando le evanescenti tracce od esaminando vecchie immagini fotografiche, non è fattibile stabilire il casato di appartenenza.
Transitando sotto l’arco è ancora possibile osservare l’intercapedine ove era alloggiata la saracinesca, probabilmente metallica, che veniva abbassata per chiudere il passaggio. All’interno di quello che si può indicare come primo piano si notano ancora due catene in legno e si trovavano due livelli che ospitavano, presumibilmente, le funzioni di sorveglianza e di difesa della porta, infatti qui sono presenti tre piccole feritoie.
Nella volta di mattoni di questo livello si scorge tuttora la botola che consentiva l’accesso alla copertura, una sorta di terrazza merlata che rappresentava la migliore postazione dalla quale controllare e difendere la porta.
Strutturalmente la torre è costituta da una muratura di mattoni, solo esternamente, mentre all’interno è una muratura di tipo misto, che si sviluppa in altezza con un fusto liscio fino ad un certo punto, dopodiché incominciano a vedersi i cosiddetti “apparati sommitali a sporgere”. I primi che si incontrano sono le tre fasce di cornici pensili, una a mensole scalari e due ad archetti, che fanno progressivamente allargare la superficie della torre.
L’interno di queste strutture era intonacato e dipinto, formando delle sequenze pittoriche delle quali si intravede ancora qualche resto di colore, in un paio di queste è chiaramente individuabile lo stemma dei Ceva. Tra queste sono interposte delle cornici chiamate “a dente di sega”. In prossimità della sommità la torre si allarga ulteriormente, con un secondo sistema di aggetti, che le conferiscono una forma che ricorda quella di un fungo. Lo sbalzo, che interessa tre lati su quattro, è sorretto da una serie di massicci beccatelli in arenaria, sui quali sono impostati dei piccoli archi di mattoni.
Questo “cappello” è rifinito con una merlatura a forma di coda di rondine, che la identifica come torre ghibellina, anche se erroneamente sin dagli anni Ottanta del XX secolo viene detta torre guelfa, confondendola con un’altra andata distrutta che era posta vicino al ponte della Catalana. Sul settimanale Alta Val Tanaro veniva chiamata Vecchia Torre ancora negli anni Settanta. Pare comunque arduo togliere quest’abitudine ai cebani, che la chiamano così da oltre 40 anni, anche perché, fino a non molto tempo fa, i merli erano coperti da un tetto e da qui nasce l’errore.
Nel medioevo, anche la città di Ceva seguì la politica del momento che si alternava tra lo schierarsi con la fazione guelfa, che appoggiava il papato e con quella ghibellina che parteggiava per l’impero. Quest’ordine di merli è stato rimesso a vista solo negli anni Ottanta del secolo scorso in seguito al rifacimento della parte sommitale della struttura eseguito dall’impresa Iseppi di Ceva, poiché il vecchio tetto era rovinato. Negli ultimi secoli era stata mantenuta una copertura di travi di legno e coppi, come si può notare sia sulla tavola del Theatrum Sabaudiae del 1682, che su dipinti e stampe del Settecento, dell’Ottocento e cartoline di epoche più recenti.
Dal 1957 venne utilizzata come ingresso principale allo sferisterio Vincenzo Ferro, fino a che questo venne smantellato e ricostruito nell’area sportiva dei Nosalini. Ora dà adito alla strada pedonale intitolata al garibaldino cebano Benedetto Rovella (1847-1943) di recente realizzazione.