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Questo palazzo fu la sede della Società Operaia, che nacque il 1° settembre 1862 con lo scopo di promuovere il mutuo soccorso tra i suoi iscritti. Era un periodo nel quale esisteva quasi nulla in termini di assistenza e previdenza, pertanto il far parte di questo sodalizio forniva la sicurezza di avere la disponibilità di medici che gratuitamente, o attraverso piccoli rimborsi, garantivano le prime cure ai bisognosi.
I primi centri di incontro dei consociati furono case prese in affitto in contrada Sparezza (1862) e sulla piazza del municipio (1864). Nel 1892 fu deciso di acquistare un vecchio fabbricato fatiscente nell’allora Contrada Franca, l’attuale via Pallavicino, all’inizio della salita che porta al castello e si stabilì di costruire una nuova struttura. Il presidente del sodalizio in quel tempo era il cavalier Giuseppe Randazzo (1854-1930) e tra i massimi oblatori per le spese di costruzione vi erano i fratelli Luigi e Giorgio Garabello. Un sussidio fu fatto pervenire anche dal re Umberto I (1844-1900). I lavori, progettati e diretti gratuitamente dal geometra Francesco Garrone (1840-1909) ed iniziati nel medesimo anno, con l’abbattimento del vecchio edificio, furono portati a compimento sul finire dell’anno seguente.
Al piano terreno vennero ricavate una sala di ritrovo ed un’ampia cantina, giacché era usanza che ogni società provvedesse alla produzione in proprio del vino consumato dai soci.
La facciata, tipicamente ottocentesca, ricorda i fabbricati industriali dell’epoca e si presenta al piano terra con un fronte in mattoni a vista, che si ritrovano al secondo piano a contorno delle finestre e sul cornicione.
Al piano superiore vi è una prima sala, con soffitto a padiglione, nella quale era collocato un elegante bancone-bar ligneo in stile liberty, che ancora oggi è utilizzato nel “foyer” del Teatro Marenco, dove fu trasportato a seguito della ristrutturazione dello stesso nel 1975. Da questa si ha accesso al salone delle Feste dove si svolgevano le serate danzanti e gli incontri di rappresentanza. Sul soffitto si notano tutt’ora tracce di vecchi affreschi.
Al tempo del trasloco nei nuovi locali, furono trasferiti e sistemati oltre cinquecento libri, che formavano la biblioteca sociale, a disposizione dei soci e di coloro che frequentavano i corsi serali gratuiti di apprendimento. In quegli anni l’analfabetismo, soprattutto nell’ambito delle leve meno giovani, era ancora abbastanza diffuso.
Dal 1894 si cominciarono ad organizzare intrattenimenti danzanti durante i quali orchestrine locali si alternavano al famoso piano a manoia (pianoforte meccanico a manovella). Questa consuetudine proseguì nel tempo tutte le domeniche sere e le festività principali, fino al primo decennio dell’ultimo dopoguerra. Sempre nel 1894, nel mese di giugno, la Società Filarmonica cittadina confluì nella Società Operaia e si stabilì in quella sede, costituendo il Corpo Operaio Musicale “Giuseppe Verdi”, denominazione che si mantenne per poco tempo, poiché ritornò a chiamarsi semplicemente Banda Musicale o Banda Cittadina.
Durante il periodo del fascismo e del secondo conflitto mondiale, il palazzo della Società Operaia fu requisito ad uso militare da parte dei poteri costituitisi e l’attività del sodalizio fu sospesa. Le sue funzioni di centro di aggregazione ripresero dopo la guerra e si unirono ad essa anche diverse società sportive cittadine, come le bocce, il tennis ed altre ancora, che non disponevano di una sede propria ed a volte non erano in grado di sostenere economicamente le loro iniziative.
Intorno alla metà degli anni Cinquanta, si registrarono le prime avvisaglie di crisi del sodalizio. La prima fase del benessere post bellico aveva portato garanzie assicurative in campo assistenziale e previdenziale, nascevano sale di intrattenimento più spaziose ed idonee e si assisteva ad una rapida evoluzione delle forme di divertimento e passatempo. Il cinema e la televisione si stavano accaparrando l’interesse delle masse. Tutto ciò fece sì che nel 1962 la Società Operaia chiudesse l’attività, incorporandosi con la consorella Associazione Arti e Mestieri Agricola Brenta, che disponeva di un ampio e funzionale caseggiato di nuova costruzione in località Brolio, dando vita alla “Società Brenta-Operaia”. Questa denominazione durò per poco tempo, mantenendosi poi solo più quella di “Brenta”.
Nel 1961, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia, un apposito comitato allestì nei locali del palazzo una pregevole mostra storica sul Risorgimento. Dopo questo evento i locali rimasero a lungo inutilizzati, perdendo progressivamente funzionalità e qualità ricettiva, venendo usati per sporadiche iniziative culturali. Lo stabile necessitava di corpose opere di manutenzione impossibili da sostenersi da parte dell’amministrazione della società che, all’inizio degli anni Settanta, lo cedette al Comune. Vi trovarono collocazione per un paio d’anni la Banda Musicale e per poco tempo la Comunità Montana appena costituitasi.
Il palazzo rimase nuovamente privo di destinazione d'uso. Nel 1988 si iniziarono i lavori di ristrutturazione del fabbricato e negli anni Novanta il comune di Ceva decise di trasferirvi la Biblioteca Civica. Quest’ultima fu aperta il 25 febbraio 1975 nei locali siti al piano terreno del Palazzo Comunale, poi si trasferì nei locali comunali di via XX Settembre. Dopo opportuni lavori di adeguamento e ristrutturazione che terminarono nei primi mesi del 1999, la biblioteca ebbe una nuova sede e venne intitolata al poeta italo-francese Aloysius Bertrand (1807-1841), nato a Ceva dall’ufficiale della gendarmerie francese George e dalla cebana Laurina Davico. L’inaugurazione si tenne il 24 gennaio 2000.
La sala delle feste fu trasformata in sala conferenze e dedicata alla memoria del professor Mario Robaldo (1925-1998), primo responsabile della biblioteca e tra i suoi principali fautori.
In alcune sale di questo palazzo e nell’edificio adiacente, alla destra di chi guarda, ha sede il Museo Storico “Città di Ceva”. Inizialmente venne allestito col materiale proveniente dal Palazzo Comunale, ove, a cura del commendator Armando Gallo (1931-2014), già da metà degli anni Novanta era stato creato un piccolo spazio museale, con l’esposizione di cimeli e documenti relativi al tenente colonnello Giuseppe Galliano e alle guerre mondiali. Questa seconda sezione non tardò ad espandersi, grazie a reperti donati dai cebani e da altri benefattori al museo cittadino, raccolti dal dipendente comunale Giorgio Gonella.
Nel 2012, il Museo venne dato in gestione all’associazione storico-culturale Ceva Nella Storia e, grazie soprattutto al presidente Barbara Florio e ad Ornella Cordero, il materiale esistente venne inventariato e si apportarono alcune nuove dotazioni di elementi espositivi. Gli oggetti delle collezioni presenti all'interno della struttura sono ora registrati e catalogati, permettendo al visitatore di conoscerne la datazione e la provenienza. Il museo cittadino ha il compito di promuovere e mantenere la conoscenza della storia per capire il presente e il futuro, trattando i soggetti e gli eventi in complementarità a quelli di rilevanza nazionale. Oggi la collocazione in mostra è riferita a diverse aree tematiche relative alle guerre mondiali, alle Campagne d'Africa, al Risorgimento, al periodo Napoleonico, allo studio etnografico ed allo sviluppo della comunità, all'aspetto religioso e per finire al “mondo” del giocattolo.
Tutti questi aspetti mettono in rilievo le diverse sfaccettature dell’ambito cittadino, nell’attesa di poter ampliare gli spazi affinché il tutto possa essere più appagante e gradito al visitatore.