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Monumenti ed Architetture a Ceva


Associazione Ceva nella Storia - Palazzo dei Medaglioni

Palazzo dei Medaglioni     Torna all'indice


L’accesso in via Roma da via Umberto I avviene oltrepassando un voltone sotto un edificio che si ritiene sia stato la prima abitazione dei marchesi Pallavicino, quando vennero a stabilirsi a Ceva verso la metà del Cinquecento, prima di trasferirsi sull’altura denominata Castello. In corrispondenza del sottopasso, su via Umberto I, a livello del primo piano, si trovano i resti di una loggia tamponata nella quale, sotto due archi a tutto sesto, ad ornamento della facciata, risalta la presenza di due medaglioni rotondi, dipinti in chiaroscuro. All'interno di questi sono raffigurati i profili di due grandi nobili dell’antica Roma: a destra di chi guarda Publio Cornelio Scipione Emiliano detto anche Africano Minore (185 a.C.-129 a.C.) il distruttore di Cartagine, a sinistra il console Gneo Pompeo Magno (106 a.C.-48 a.C.), prima alleato poi nemico di Giulio Cesare. I due antichi condottieri, così come sono collocati, sembrano stare a guardia dell’accesso al centro storico.

Secondo la dottoressa Giovanna Galante Garrone, i due medaglioni dipinti sono attribuibili al pittore saviglianese Pietro Dolce (1506 ca.-1566 ca.) e perciò riconducibili al XVI secolo. La stessa mano (o scuola) è riconosciuta anche nella decorazione della sala delle Colonne del Palazzo Rosso dei Pallavicino, il che avvallerebbe l'ipotesi che vede il palazzo dei medaglioni di proprietà di questi ultimi e Dolce un artista al servizio della corte marchionale.

All'interno della loggia, durante i lavori di restauro dell’edificio, sono venuti alla luce parti di alcune raffigurazioni appartenenti ad un ricco apparato pittorico in chiaroscuro che era nascosto dall’intonaco e interessava tutto il loggiato. In particolare, in corrispondenza dei due medaglioni esterni, internamente se ne trovano altri due, raffiguranti però due figure femminili. Già padre Giuseppe Rambaudi da Bra (1884-1967), nella sua opera Ceva in tutti i tempi, aveva riconosciuto, nonostante le trasformazioni, le tracce di quella che definì una galleria d’arte «... con altri quadri rappresentanti i personaggi più eminenti dell’antichità... » e ipotizzava un collegamento degli affreschi alle imprese di Giulio Cesare Pallavicino ( † 1568), capostipite del nobile casato e luogotenente di Emanuele Filiberto.

La loggia del Cinquecento in origine era costituita da un unico piano sospeso al di sopra della via e solo nei secoli successivi fu sopraelevata di altri due piani, in modo da essere al pari con gli edifici adiacenti. Sebbene oggi sia collegata all'edificio di sinistra, che, pur conservando alcuni elementi di epoca medioevale è per la maggior parte di fattura settecentesca, molto probabilmente la loggia era invece unita alla costruzione di destra. L’edificazione di quest'ultima è riconducibile al XIV-XV secolo e le sue caratteristiche la individuano come una dimora signorile o avente una qualche funzione particolare di rappresentanza o potere. Il loggiato non fu quindi costruito addossato ad un fabbricato qualsiasi, ma ad uno che ancora nel Cinquecento continuava a mantenere un’importanza che gli era già stata attribuita almeno un secolo prima. Inoltre recenti studi hanno rivelato diverse analogie tra questo immobile ed un altro in via Marenco, angolo via Barberis, recentemente restaurato.

Altro elemento fondamentale è la posizione della loggia, a cavalcavia di una delle più importanti strade della città, dirimpetto alla porta detta del Porticciolo, all'epoca varco di accesso al borgo. Si può ritenere che in tutto questo si evidenzi una dimensione simbolica che vede l'apposizione di segni di potere, forse da contrapporre ad altri, in modo da chiarire chi fosse il detentore della massima autorità nella città.