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Nel 1804 il governo francese aveva esteso anche al Piemonte le disposizioni del Décret Impérial sur les Sépultures, meglio noto come Editto di Saint Cloud che prevedeva tra l’altro la dislocazione dei cimiteri fuori dai centri abitati in luoghi arieggiati e soleggiati.
Nonostante le forti opposizioni che si manifestarono contro l’editto un po’ ovunque, il Consiglio municipale si vide costretto a deliberare, nella seduta del 18 novembre 1808, lo spostamento del camposanto fino ad allora ubicato in fondo al borgo Sottano, nei pressi del ponte della Catalana. A tal fine venne individuato il sito occupato fino al 1798 dal convento degli Agostiniani, che alla sua soppressione era divenuto di proprietà del signor Pietro Boasso. Con atto del 15 dicembre 1809 fu formalmente acquisito e trasformato in luogo di sepoltura. Nel 1812 venne modificato l’ultimo tratto di strada che portava al vecchio monastero, al fine di rendere più comodo l’accesso al cimitero. Nel 1842 si edificò la cappella di Sant’Agostino e fin che la legge non lo vietò, vennero utilizzati degli spazi nelle cripte sotterranee della stessa per la tumulazione delle salme.
Nella penultima decade dell’Ottocento il camposanto necessitava di un adeguato ampliamento e il geometra Francesco Garrone elaborò un progetto che prevedeva la costruzione di una struttura porticata a forma di ottagono irregolare, con cinquantasei arcate, di cui otto d’angolo, quattro facciate sui lati lunghi del perimetro e cripte nei sotterranei. La nuova opera avrebbe praticamente circondato tutta la superficie del vecchio cimitero. Per l’eccessivo costo non fu mai compiutamente realizzata; fu costruita, con alcune varianti, solo un’ottava parte nel 1886. Nel 1901 e nel 1905, altre due fasi edificatorie, sempre con la progettazione del geometra Garrone, portarono al definitivo compimento di un complesso di trentasette arcate quasi a forma di doppio ferro di cavallo, con la cappella di Sant’Agostino nel mezzo e dinnanzi un’ampia superficie per le inumazioni in terra, a forma di pentagono, con un muro di cinta di cui è ancor visibile oggi un tratto nella parte nord-ovest.
Nelle grandi nicchie prospicienti le arcate furono ricavate decine di sepolcri, messi in vendita dal municipio a privati. Alcuni di questi incavi furono adibiti a cappelle di famiglia, arricchite con statue, sculture ed artistici bassorilievi. Nella parte sotterranea trovarono collocazione, per tutta la lunghezza del porticato superiore, altre cripte per le tombe di famiglia e una sequenza di loculi parallela ad un ampio corridoio a cui si aveva adito dall’esterno per mezzo di due scalinate. Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio degli anni Sessanta del Novecento, in più fasi, dirimpetto al precedente, venne realizzato un altro sistema ipogeo di nicchie sepolcrali e costruita una terza scala di accesso. La tendenza ad optare per la tumulazione in loculi piuttosto che per l’interramento, rese necessario un ulteriore ampliamento e fu così abbattuta, verso la metà degli anni Sessanta, una parte del vecchio muro perimetrale e dato l’avvio alla costruzione del grande fabbricato a tre piani, progettato dall’ingegnere Gilardi di Alba. Progressivamente nei decenni successivi altri porticati di differente strutturazione vennero costruiti in prosecuzione di quello originario, fino a congiungersi e a proseguire oltre il fabbricato suddetto. Questa espansione del camposanto verso sud-ovest, già nel 1978, aveva portato alla dismissione dell’ingresso prospiciente il dirupo sul Tanaro, utilizzando quello attuale di fronte all’area di parcheggio realizzata nel contempo.
L’intero complesso cimiteriale, benché architettonicamente molto articolato, mantiene una struttura ordinata, razionale e di comoda agibilità. La vasta superficie centrale è destinata ad area verde e alle inumazioni in terra e vi hanno trovato collocazione negli anni anche cappelle-tombe di famiglia di architetture diverse, geometricamente allineate.
Nei pressi del vecchio ingresso vi è la cappella dei Partigiani, costruita nell’immediato dopoguerra e ristrutturata di recente, mentre al lato destro di quello nuovo è collocata una grossa lapide di granito a ricordo dei caduti per la libertà. Sotto la prima arcata del porticato storico è stato ricavato il famedio, dove riposano alcuni personaggi illustri della città: Carlo Marenco, il figlio Leopoldo Marenco (1831-1899) come il padre eccelso nell’arte letteraria; l’avvocato Carlo Ciravegna, giureconsulto; il dottor Ernesto Comino (1895-1973), medico e ufficiale sanitario; suor Teresa Bombelli, superiora dell’Istituto Derossi e padre Prudenzio Rolfo, superiore del Convento dei Cappuccini. Quasi dirimpetto al famedio, in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia è stato eretto, a cura della sezione A.N.A. di Ceva in collaborazione con il Comune, un cippo alzabandiera in pietra di Langa alla memoria di tutti i caduti in tempo di guerra e di pace.